
Petroliere in transito nello Stretto di Hormuz - Reuters
Le proiezioni di Bloomberg e di tutti gli analisti specializzati nel mutevole mondo degli idrocarburi fanno tremare i polsi. Qualcuno già la chiama la Sindrome di Hormuz, che più di tutti terrorizza Trump. Non senza ragioni. Sullo Stretto di Hormuz si affacciano l’Iran, l’Iraq, il Kuwait, l’Arabia Saudita, il Qatar, il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti, l’Oman. Tutte petromonarchie e/o teocrazie con i piedi ben piantati nel gigantesco zoccolo di oro nero che si ritrovano nel sottosuolo. Da lì, passando per quello stretto, transita il 30 per cento del petrolio mondiale e il 20 per cento del gas liquefatto. E insieme a gas e petrolio transita l’ansia perenne dei mercati. È bastato un accenno all’importanza strategica di Hormuz per veder balzare il prezzo del Brent e subito dopo il prezzo del gas in Europa.
La minaccia di chiusura dello Stretto di Hormuz non è nuova. Già negli anni Ottanta, all’epoca della guerra Iran-Iraq ne era stata ventilata l’ipotesi. Ora però non è l’ayatollah Khomeini a preannunciarlo e nemmeno il suo sfibrato successore Khamenei. Ora sono i Pasdaran, le potentissime guardie della rivoluzione ad agitare lo spettro dell’”Arma fine di mondo”. Un’arma, a differenza di quella atomica che Teheran non possiede e forse non possiederà mai, capace di sconvolgere gli equilibri mondiali.
Sulla costa atlantica si fanno proiezioni allarmate: una crisi petrolifera a Hormuz con il greggio a 130 dollari metterebbe in ginocchio l’economia iraniana, ma a seguire comprometterebbe quella europea, farebbe fare un balzo all’inflazione in America, porterebbe crisi e recessione nelle monarchie del Golfo (il deficit di bilancio saudita sta superando la soglia dei 67 miliardi di dollari) e avvantaggerebbe in modo inimmaginabile l’economia russa, a cui la litigiosa Europa voleva infliggere un tetto al petrolio attorno ai 45 dollari al barile. «La chiusura dello Stretto di Hormuz è una delle possibili opzioni per l’Iran – ha detto Behnam Saeedi, membro del Comitato per la sicurezza nazionale del Parlamento di Teheran -, chiuderlo sarebbe una misura legale». Gli effetti già si vedono di fronte alla semplice ipotesi: nelle ultime settimane i prezzi delle assicurazioni per le navi che attraversano lo Stretto di Hormuz sono aumentati di oltre il 60%.
Per immaginare lo choc mondiale dovuto alla chiusura di Hormuz dobbiamo tornare con la memoria a quando nel 1973 il prezzo del greggio quadruplicò in poche settimane a seguito della Guerra dello Yom Kippur. Prima dell’attacco israeliano all’Iran si ventilavano diffusi ribassi. «Il crollo dei prezzi del greggio – aveva scritto pochi giorni fa il Wall Street Journal – è la madre di tutte le sanzioni e la più importante». Ma il quotidiano americano alludeva alla Russia di Vladimir Putin. Ora il problema si inverte: è l’Iran, se i Guardiani della Rivoluzione attueranno il blocco di Hormuz, a sanzionare il resto del mondo. «Ci siamo sempre preparati per essere pronti a una guerra vera e propria. Tutti dovrebbero sapere che le basi americane e le loro portaerei fino ad una distanza di 2.000 chilometri intorno all’Iran sono nel raggio dei nostri missili», dicono a Teheran. Forse per questo Trump sta allungando i tempi.