mercoledì 23 settembre 2020
L’Autorità nazionale palestinese ha deciso, polemicamente, di rinunciare alla presidenza di turno del Consiglio della Lega dopo la mancata risoluzione contro l'accordo tra Israele e gli Emirati
Il ministro degli Esteri palestinese Riad al-Malki

Il ministro degli Esteri palestinese Riad al-Malki - Reuters

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L’Autorità nazionale palestinese (Anp) ha deciso di rinunciare alla presidenza di turno del Consiglio della Lega degli Stati arabi, ruolo che le sarebbe spettato di diritto nell’attuale sessione dei lavori. Ad annunciarlo, ieri da Ramallah, in Cisgiordania, il ministro degli Esteri palestinese, Riad al-Malki, in conferenza stampa: «Questa decisione è stata presa a seguito della posizione, assunta dalla segreteria della Lega Araba, a supporto di Emirati Arabi Uniti e Bahrein, che hanno normalizzato le loro relazioni con Israele in violazione dell’Iniziativa di pace araba». Secondo il ministro, la posizione della Lega sarebbe riconducibile al fatto che «alcuni Stati arabi influenti hanno rifiutato di condannare la violazione».

Il riferimento è alla sessione dello scorso 9 settembre, quando il consesso non ha trovato un’intesa allargata su di una risoluzione di condanna di Abu Dhabi e Manama, probabilmente per volontà saudita. La cosiddetta Iniziativa di pace araba (2002) prevede che gli Stati arabi procedano alla normalizzazione dei rapporti con Israele solo dopo la fine dell’occupazione militare della Palestina. «Ramallah non intende abbandonare l’istituzione», ha garantito al-Malki, però i segnali di rottura si moltiplicano: secondo i media locali, rappresentanti di al-Fatah, forza di maggioranza in seno all’Anp, si sarebbero recati ieri in Turchia per chiedere l’intervento di Ankara a favore della riconciliazione palestinese, in fieri. I segretari delle principali fazioni, in testa Hamas, si sono riuniti a Beirut all’inizio di settembre per stilare un programma in tappe.

Più volte in passato il presidente Recep Tayyep Erdogan ha cercato di cavalcare la causa palestinese, schierandosi con Gaza e finanziando progetti a Gerusalemme Est e in Cisgiordania, per scippare ad Arabia Saudita ed Egitto la loro influenza nel risico regionale: se gli riuscisse di condurre in porto la riconciliazione, per Ankara sarebbe un successo politico paragonabile solo a quello dell’Amministrazione Trump nel processo di normalizzazione fra Stati arabi e Israele. In agosto, la Turchia ha minacciato di sospendere le relazioni diplomatiche con gli Emirati in risposta all’accordo con Israele.

La «Turchia è dalla parte dei palestinesi » e «non permetterà che i diritti dei palestinesi vengano violati», ha tuonato il presidente turco, criticando le strategie intraprese dal casato Saud nella regione e accusando Israele di essere uno «Stato razzista». Dopo Libia, Corno d’Africa, Africa orientale, il braccio di ferro fra la Turchia neo-ottomana di Erdogan e l’arco sunnita degli Stati arabi si sposta insomma a Gerusalemme: ora si fa sempre più indispensabile, per Israele e Lega Araba, normalizzare i rapporti e fare fronte comune contro ambizioni che non conoscono le vie diplomatiche.

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