sabato 11 luglio 2020
Il politologo turco Berk Esen: «Vuole spostare l’attenzione da problemi ben più seri come la crisi economica»
«La mossa può però non portare il consenso sperato»

Reuters

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Un gesto estremo, che potrebbe non portare tutti i consensi sperati. Un leader che sta perdendo terreno e che deve compattare l’elettorato più radicale. Berk Esen, Professore di Scienze Politiche all’università Bilkent di Ankara, spiega perché la riconversione a moschea di Santa Sofia fosse in qualche modo prevedibile, ma rappresenta il trionfo per il presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan solo fino a un certo punto.

Professor Esen, quindi ormai è finita. Santa Sofia torna moschea. Erdogan ha vinto…
Dal punto di vista simbolico si tratta sicuramente di un momento importante, ma il presidente Erdogan questa volta si è spinto davvero molto in là e non sono sicuro che la portata di questa decisione sarà direttamente proporzionale al consenso che ne deriverà.

Però i quotidiani affermano che ben il 77% dei turchi è favorevole alla trasformazione...
Mi permetta di dubitare di questa percentuale, non rispecchia la composizione del parlamento. Onestamente vedo poco i laici e i curdi gioire per una cosa del genere. Si tratta di sondaggi che probabilmente non hanno un campione omogeneo, ai quali hanno risposto in buona dose simpatizzanti del presidente e del suo partito.

Come mai Erdogan ha compiuto questo pressing su Santa Sofia proprio adesso, dopo averlo promesso per anni?
Intravedo tre motivazioni principalmente. La prima è di compattare quella che è la base più conservatrice del suo elettorato, che poi è quella anche più fedele. Il secondo è spostare l’attenzione da problemi ben più seri come la situazione economica e infine intravedo anche una terza motivazione di sfida all’Occidente. Ma prima le altre due direi le altre due.

Possiamo parlare di crisi di consensi per il presidente?
Solo fino a un certo punto. Erdogan come presidente è ancora estremamente popolare, anche se magari con qualche punto percentuale in meno rispetto una volta. Chi desta più preoccupazioni è l’Akp come partito. Ci sono state alcune defezioni e il capo di Stato con il suo carisma riesce a supplire solo fino a un certo punto. Va poi anche considerato che questo in Turchia è un momento particolare. Lo scorso anno alle amministrative sei importanti città. Se dovessero governare bene, per il partito di Erdogan sarebbe ancora più difficile mantenere i consensi.

A proposito di opposizione, c’è un silenzio assordante in tutta questa vicenda, che è quello del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu. Come mai?
Principalmente credo per due motivi. Il primo è che lo scorso anno è stato eletto con un consenso trasversale, quindi anche con voti di ambienti più devoti, che non vuole perdere entrando nella polemica. In secondo luogo, non vuole fornire a Erdogan pretesti per attaccarlo.

Però se spera di battere Erdogan un giorno, con lui prima o poi dovrà confrontarsi…
Sicuramente, ma il carisma del presidente funziona molto meglio se ha davanti un nemico ideologico, anche per istigare la base. Credo che Imamoglu lo abbia capito e per questo pensi a sfidarlo su cose più concrete. Come l’economia? Per esempio. La situazione è molto seria e potrebbe peggiorare nei prossimi mesi. Per il momento il governo sta immettendo soldi nel sistema, ma non solo non bastano. Prima o poi finiranno.

Prima ha parlato di sfida all’Occidente. Cosa ne pensa della politica estera del presidente?
Che è ad alto rischio perché Erdogan cerca contemporaneamente una sponda in Paesi i cui interessi confliggono.

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