sabato 10 giugno 2023
Scambi di accuse. Alcune intercettazioni, da verificare, dimostrerebbero la responsabilità dei russi. Ed è allarme per lo sversamento di idrocarburi nel fiume Dnepr
Un’area della periferia di Kherson ancora sotto le acque che hanno invaso la città dopo il cedimento della diga

Un’area della periferia di Kherson ancora sotto le acque che hanno invaso la città dopo il cedimento della diga - Reuters

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Mentre centinaia di persone rimangono ancora intrappolate negli edifici dei villaggi inondati dalla breccia nella diga di Kakhovka, Kiev e Mosca continuano a scambiarsi accuse. Una intercettazione telefonica diffusa dai servizi segreti ucraini dirige i sospetti su Mosca. Due militari russi accennano all’esplosione e uno di loro ammette che è opera dei commilitoni. L’autenticità della registrazione è stata confermata fra gli altri da The Guardian.

Tuttavia non può essere considerata la prova regina. Altri indizi vengono presi in esame. I satelliti Usa hanno registrato alterazioni termiche compatibili con una esplosione pochi istanti prima che la grande muraglia di cemento armato precipitasse, negli stessi istanti l’Istituto sismologico norvegese ha registrato un “terremoto” concomitante il crollo della diga.

Anche ieri su Kherson è stata una giornata di fuoco intenso. Dopo le esplosioni dei giorni precedenti è stato vietato ai giornalisti l’accesso nelle zone centrali per ragioni di sicurezza. La situazione degli allagamenti nelle aree occupate da Mosca resta incerta. I corrispondenti della Reuters hanno avuto accesso a un villaggio occupato vicino alla diga crollata. Come di consueto, avvertono i lettori di aver lavorato «in una parte dell’Ucraina controllata dalla Russia, dove la legge limita la copertura delle operazioni militari», segnalando così di non aver potuto lavorare con la massima libertà.

Si tratta di Hola Prystan, una città dove un tempo vivevano circa 13mila persone. Una donna, che dice di chiamarsi Oksana, trattiene a fatica le lacrime mentre racconta che la sua casa è stata letteralmente sradicata dall’impeto della corrente. I villaggi più vicini alla diga sono infatti stati travolti dalla cascata di acqua. Dalle aree occupate le forze russe assicurano di essere intervenute tempestivamente per salvare i civili assediati dall’acqua, ma una serie di contatti che riusciamo a raggiungere attraverso parenti sul lato ucraino raccontano di essere stati abbandonati. Olya con la residua carica del cellulare ha fatto sapere di trovarsi da quasi tre giorni sul tetto con i suoi familiari, senza che il centro d’emergenze degli occupanti gli abbia risposto.

Di fronte a Hola Prystan, sul lato in mano ucraina, nel villaggio di Bilozerka continuano a vedersi scene surreali, come un gruppo di capre e galline sul tetto di una casa. L’area continua a essere una tappa delle operazioni militari. Quando raggiungiamo la piccola chiesa ortodossa che sembra affogare nella palude profonda sei metri, a poca distanza piombano i colpi dell’artiglieria russa. Più di 50 esplosioni ogni ora. I militari ucraini rispondono con i lanciatori multipli: 18 colpi di artiglieria in sequenza. Poi si spostano rapidamente.

Dal delta del Dnepr fino a Odessa sono visibili le chiazze inquinanti che di notte appaiono luminescenti. Lo sversamento di idrocarburi nel grande fiume non è l’unica preoccupazione. Il sole a picco con temperature di 30 gradi accelerano la decomposizione delle carcasse di animali. Le esalazioni appestano l’aria e i biologi prelevano campioni d’acqua temendo lo sviluppo di epidemie incontrollabili.


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