sabato 5 agosto 2023
Le fortificazioni russe sono un mix di scavi e reticolati, gli scontri sono feroci. In un mese riconquistati solo 88 chilometri quadrati, ma ne sono persi 64 nel nord Luhansk. Attacchi anche sul mare
Un militare ucraino al fronte

Un militare ucraino al fronte - Reuters

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La guerra ucraina torna sul mare, con attacchi a navi e porti da una parte e dall'altra. Ultimo obiettico, la petroliera russa Sig che è stata colpita durante la notte dai servizi militari ucraini, Sbu, e dalla Marina di Kiev. Secondo gli ucrainai la petroliera stava portando carburante alle truppe russe ed è stata colpita da un drone. L’attacco, fa seguito a quello di venerdì contro la nave russa Olenegorsky Gornyak, colpita da dei droni ucraini mentre era nel porto russo di Novorossiysk. Per i servizi segreti ucraini si tratta di un “grande schiaffo per il regime di Putin”. Questi attacchi, molto spettacolari, nascondono però le difficoltà che l’esercito di Kiev incontra ad avanzare sul campo, dopo aver annunciato per tutta la primavera una decisiva controffensiva durante l’estate (r.e.).


Ci avevano fatto una testa a pallone sulle dinamiche future della guerra. E invece il conflitto in Ucraina ha riportato in auge le trincee e i bunker del ’14-’18, ardui da espugnare. Sembra di riviverli gli assalti alle baionette di un secolo fa e di sentire la paura, soffocata dalle grida tragiche dei capitani di compagnia. Gli ucraini lo sperimentano ogni giorno, da due mesi a questa parte. Privi di munizioni penetranti, non riescono a sventrare rapidamente i baluardi nemici, come fecero gli americani nell’Iraq del 2003. Ed è per questo che ricorrono a spettacolari, ma poco strategici, attacchi navali.

Le bombe a grappolo, ultima infamia, non possono tutto, perché le fortificazioni russe sono un mix di caposaldi, scavi minuziosi, reticolati di filo spinato, denti di dragone e putrelle. I russi si sono fatti furbi: hanno congegnato fortificazioni statiche e al contempo mobili. Sono tanto scarsi nell’attacco, quanto abili in difesa.

Compagnie e sezioni proteggono la prima linea, battendola per 180 gradi, scaglionate in modo tale da poter colpire con il fuoco solo gli assi di avanzata più probabili. Combinano economia di forze e di granate. Tutto è concepito per ritardare l’incedere nemico.

I terreni adiacenti ai corridoi di penetrazione sono autentiche trappole, zeppi di mine anticarro, ordigni antiuomo e altre barriere fisiche. È da ottobre scorso che i russi piazzano 1.000-1.500 mine ogni kmq. I cannoni le vomitano di continuo, ritappezzando i settori appena bonificati dagli sminatori ucraini.

Sembra che i veicoli donati dagli occidentali per forzare le difese russe non siano idonei a fronteggiare gli ordigni di ultima generazione. Le mine Ptkm-1R hanno sensori acuti e percepiscono le vibrazioni di un tank a distanze superiori a 200 metri.

Non sempre hanno successo e allora i russi talvolta arretrano, ma i loro genieri sono instancabili: hanno protetto con opere difensive tutti i 50 km dalle prime fortificazioni, disseminando mine per lunghezze di 10 km.

I generali ucraini assomigliano a Montgomery, titubante ad el-Alamein: attaccare sì, ma con quali mezzi, scarsi per tutti? Come superare la miriade di ostacoli, fra tane di volpe, posti di tiro protetti per missili anticarro, difese aeree e disturbatori elettronici, piazzati ogni 5 km?

La battaglia di Grand Novosilka non illuda: è vero, gli ucraini si sono avvicinati alla prima linea di difesa russa, ma nell’ultimo mese di controffensiva tri-asse non hanno preso che 88 kmq, perdendone 64 nel nord Luhansk. Nella dinamica di una guerra, l’ottimo sarebbe riconquistare 50 kmq al giorno, segno che il vento è favorevole.

Invece gli ucraini sono molto sotto quella media. Infliggono perdite ai russi, ma ne incassano altrettante: il vantaggio, prima favorevole a Kiev, si sta assottigliando, a riprova che i raid sulle retrovie sono simmetrici. Ecco perché gli ucraini sono stati costretti a rallentare e a dar fondo alle riserve di artiglieria accumulate nei mesi scorsi: negli ultimi tredici giorni hanno esploso 8mila colpi quotidiani. A questo ritmo, le scorte basteranno fino all’autunno.

Prima di allora, i comandi ucraini puntano forse a scardinare i bunker russi e a sfondare verso Tokmak, snodo cruciale sulla seconda linea fortificata nemica. Superata questa, si aprirebbero praterie verso il mare d’Azov e Melitopol. Per arrivarci, sarebbe però necessario mettere in campo tutti i mezzi e le 15-20-25 (?) brigate tenute in riserva, ordendo operazioni sinergiche in altri punti del fronte, perché l’Armata rossa ha preso le misure. Dopo le batoste dei primi mesi di guerra, è più matura.

Ci era sembrata impotente quando costretta a riesumare carri armati degli anni 50-60. E invece ha sorpreso tutti: quei mezzi non sono mandati allo sbaraglio contro i tank occidentali. Fungono da piattaforme di tiro indiretto e da artiglierie a lungo raggio. Tutto fa brodo in questa guerra che travalica i confini regionali.

L’Occidente prende nota, rispolverando pratiche che non usava da decenni: rimanda i suoi soldati a formarsi alla guerra di trincea. Lo vediamo in Nordamerica, in Francia, nel Regno Unito e in Estonia. Ma quando avrà fine la barbarie?


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