sabato 18 luglio 2020
Una donna coraggiosa contro interessi economici e politici in difesa della salute della gente costretta a vivere e ammalarsi vicino ad impianti inquinanti guidati da manager senza scrupoli
Phyllis Omido, la donna che ha vinto la battaglia contro l'azienda indiana in Kenya che avvelenava l'ambiente e le persone col piombo

Phyllis Omido, la donna che ha vinto la battaglia contro l'azienda indiana in Kenya che avvelenava l'ambiente e le persone col piombo - (cortesia P. Omido)

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«Siamo felicissimi: non ci siamo mai arresi e alla fine giustizia è stata fatta», racconta ad Avvenire l’ambientalista Phyllis Omido. Dopo oltre dieci anni di coraggiose battaglie per la protezione dell’ambiente in Kenya, Omido, a capo del Centro per giustizia, autorità e azione ambientale (Cjgea), può tirare un sospiro di sollievo.

Un tribunale locale ha ordinato il risarcimento di 10 milioni di euro ai residenti di Owino Uhuru, una baraccopoli nella città costiera di Mombasa, per i danni provocati dall’inquinamento da piombo. «Il pagamento verrà diviso tra alcuni organi dello Stato e le società private coinvolte – ha stabilito, giovedì, Anne Omollo, giudice presso la Corte di Mombasa per la terra e l’ambiente, dove il processo era iniziato nel 2016 –. La popolazione ha il diritto a un ambiente sano e a un’acqua pulita come recita l’articolo 43 della Costituzione».

Il percorso di Omido e dei residenti di Owino è iniziato nel 2009, quando fondarono Cjgea. L’obiettivo era combattere contro un’azienda indiana, la Metal refinery Epz, che da due anni inceneriva batterie di automobili per ricavarne il piombo, incurante di quello che i fumi avrebbero causato alla salute delle persone.

È, così, che i livelli di veleno nel sangue di molti residenti erano aumentati radicalmente.

«C’è voluto, però, il primo morto affinché ci rendessimo davvero conto dei danni che stavamo subendo – afferma uno dei membri di Cjgea –. Da quel momento in poi ci siamo uniti per combattere tutte le ingiustizie ambientali provocate dalle aziende nazionali e straniere sul territorio keniano».

Da subito, le autorità locali hanno iniziato a guardare con sospetto l’associazione. Omido e altri suoi compagni attivisti sono stati arrestati, minacciati, picchiati e i loro telefoni messi continuamente sotto controllo. Nel frattempo, finora, almeno sei residenti della baraccopoli sono deceduti a causa dell’inquinamento da piombo.

Nonostante l’ostracismo del governo, Cjgea ha acquisito notorietà e supporto dai cittadini del luogo e dalle organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite. Nel 2014, l’azienda indiana è stata costretta a chiudere. Nel 2015, invece, Omido è stata premiata con il Goldman environmental prize (Gep), il più importante riconoscimento per gli ambientalisti a livello mondiale.

Negli anni seguenti, i militanti di Cjgea hanno seguito il processo raccogliendo materiale e testimonianze rispetto anche ad altre ingiustizie. «Gli africani devono tornare alle loro tradizioni che esigono un grande rispetto per la natura – afferma Omido –. Se danneggeremo tutto il nostro ambiente oggi, cosa lasceremo alle generazioni future?».

Chi è l'«Erin Brockovich africana»

L’ambientalista keniana, Phyillis Omido, non ama parlare di se stessa. È nata nel 1978 nell’ovest del Kenya. Dopo aver studiato gestione aziendale all’Università di Nairobi, ha raggiunto Mombasa dove ha lavorato all’indiana Metal refinery Epz come addetta alle relazioni con la comunità.

In quel periodo si è accorta di aver contragiato con il piombo il figlio allattandolo. Fonda l’organizzazione Cjgea nel 2009. Ottennendo la chiusura dell’azienda nel 2014, Phyllis diventa la «Erin Brockovich dell’Africa orientale». Nel 2015 ha vinto il Goldman Environmental Prize.




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