venerdì 5 aprile 2019
Il cardinale arcivescovo di Karachi è in Italia, ospite di Aiuto alla Chiesa che soffre: «Il fondamentalismo minaccia tutti, non solo le minoranze»
Il cardinale Joseph Coutts nella sede di «Avvenire» con il direttore Marco Tarquinio

Il cardinale Joseph Coutts nella sede di «Avvenire» con il direttore Marco Tarquinio

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«Siete liberi; liberi di recarvi nei vostri templi, liberi di recarvi nelle vostre moschee o in qualunque altro luogo culto». Sono trascorsi quasi 72 da quell’11 agosto quando Mohammad Ali Jinnah, musulmano e padre fondatore del Pakistan, pronunciò queste storiche parole di fronte all’Assemblea Costituente. La libertà religiosa era uno dei cardini su cui doveva fondarsi la nuova nazione, nata dalla partizione dell’India britannica.
Cita spesso il “sogno di Jinnah”, il cardinale Joseph Coutts, “il vescovo dalla barba bianca”, come lo chiamano affettuosamente i pachistani, il pastore che ha scelto come motto episcopale la parola «armonia». Proprio l’armonia tra culture e fedi è l’antidoto alla crescita del fondamentalismo islamista. «Una cosa ben diversa dall’islam», sottolinea l’arcivescovo di Karachi, in Italia ospite di Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) per una serie di iniziative a Venezia, Firenze e Milano. In quest’ultima città, ieri, ha partecipato a un incontro alla Cattolica insieme al rettore, Franco Anelli, all’arcivescovo Mario Delpini, all’esperto Riccardo Redaelli, e ad Alessandro Monteduro, direttore di Acs.
«L’aumento del radicalismo è un fenomeno degli ultimi decenni, dovuto all’influenza del wahabismo saudita», prosegue l’arcivescovo Coutts a cui, dopo la creazione a cardinale, l’anno scorso, il governo di Islamabad ha assegnato quattro uomini di scorta per garantire la sua sicurezza. «Il fanatismo però – sottolinea – non minaccia solo le minoranze religiose che, in Pakistan rappresentano il 5 per cento della popolazione. Gli stessi islamici ne sono vittima».


Può fare qualche esempio?

Purtroppo ne potrei fare molti. Ne cito uno: Mohammad Mansha, arrestato nel settembre 2008 a Bahawalnagar, in Punjab, dopo essere stato accusato di blasfemia dall’imam locale. Mansha, islamico, ha trascorso nove anni in cella, prima di essere liberato per mancanza di prove dalla Corte Suprema federale di Islamabad.


Una vicenda simile a quella della cristiana Asia Bibi...

In Pakistan ci sono molte Asia Bibi. Venticinque cristiani sono in cella con l’accusa di aver offeso l’islam. Ma, come il caso di Mohammad Mansha dimostra, la blasfemia non colpisce solo gli esponenti delle minoranze. Chiunque può restarne vittima. In trent’anni, dal 1987 al 2017, la metà degli oltre 1.500 incolpati di oltraggio al Corano, sono islamici. Il fatto è che la legge anti-blasfemia si presta a facili strumentalizzazioni e viene, così, impiegata per fini del tutto estranei alla religione. Essa viene trasformata in arma per colpire i propri nemici con poco sforzo. Le stesse accuse sono spesso vaghe perché colui che le formula non deve nemmeno ripetere la frase «oltraggiosa» per non cadere nello stesso delitto. È sufficiente dire di aver sentito «parole terribili».


Gli islamici pachistani sono consapevoli di questa deriva della legge anti-blasfemia?

Abbiamo molti esempi di musulmani che non solo ne sono consapevoli ma l’hanno denunciata con forza. E hanno pagato con la vita il loro coraggio. Come Salman Taseer, integerrimo governatore del Punjab, martire della giustizia: è stato assassinato il 4 gennaio 2011, pochi mesi prima di un altro eroico politico, il cristiano Shahbaz Bhatti.

Le parole e i gesti di papa Francesco sono importanti nello screditare la propaganda fondamentalista della «guerra di religione»?

Moltissimo. Vi racconto un aneddoto. Tre anni fa, al ritorno dalla Giornata mondiale della gioventù di Cracovia, il Pontefice, rispondendo alla domanda di un giornalista, ha detto che non gli piaceva parlare di «violenza islamica» perché «in tutte le religioni c’è sempre un piccolo gruppetto fondamentalista». Due giorni dopo mi ha chiamato il leader di un partito islamico locale per chiedermi come poteva inviare una lettera di ringraziamento al Papa per quella sua affermazione. L’aveva molto colpito.

Da luglio, il Pakistan ha un nuovo governo che è sostenuto dalle forze armate nel combattere il radicalismo. E il proscioglimento di Asia Bibi dimostra anche un impegno in tal senso della magistratura. Come valuta questi segnali?

È un momento di speranza. Esecutivo, militari e magistratura stanno lavorando insieme per isolare e arginare i fanatici. Un segnale molto positivo per le minoranze.


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