martedì 28 dicembre 2021
Il "no" di New Delhi secondo la superiora generale suor Mary Prema deriva da condizioni non soddisfatte. E in attesa di chiarimenti sono state fermate le donazioni dall'estero
Suore di Madre Teresa in preghiera

Suore di Madre Teresa in preghiera - Archivio Ansa

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«Nessuna sospensione né cancellazione» dei conti bancari. La superiora generale delle Missionarie della Carità, suor Mary Prema, ha voluto chiarire con una nota, diffusa dall'agenzia di stampa Sir, la mancata autorizzazione da parte del governo indiano a ricevere fondi dall’estero. Il giorno di Natale è arrivato il no di New Delhi al rinnovo della registrazione della congregazione al “Foreign contribution regulation act”, il sistema che consente di incassare donazioni straniere, da cui di fatto dipendono le opere delle suore di Madre Teresa. I media hanno, dunque, parlato di blocco dei conti. Notizia smentita dall’India, attraverso una dichiarazione del ministero dell’Interno. In realtà, ha spiegato suor Mary, la loro richiesta non è stata approvata per «non aver soddisfatto le condizioni di ammissibilità».

Tali condizioni, tuttavia, non sono state esplicitate dal governo. «Siamo state informate che la nostra richiesta non è stata approvata. Pertanto, come misura volta a garantire che non ci siano errori, abbiamo chiesto ai nostri centri di non operare su alcun conto fino a quando la questione non sarà risolta», ha sottolineato suor Mary.

Secondo i dati di UcaNews, nell’anno finanziario 2020-2021, la congregazione ha ricevuto circa 750 milioni di dollari dall’estero per sostenere le case di accoglienza per gli ultimi fra gli ultimi, per un totale di oltre 22mila tra dipendenti e beneficiari. Il contributo estero è, dunque, fondamentale per la sopravvivenza delle opere caritative. Il rifiuto dell’India è, dunque, un problema non da poco.

La notizia, oltretutto, è arrivata due settimane dopo l’avvio dell’indagine da parte della polizia del Guajarat, Stato del presidente Narendra Modi, su un orfanotrofio delle Missionarie della Carità per presunte «conversioni forzate» al cristianesimo. L’accusa è stata immediatamente negata dalla congregazione.

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