martedì 26 febbraio 2019
Sette milioni e mezzo al voto: l’86% dice sì alla nuova Carta. Il comunismo e il Partito unico non cambiano
A differenza del leader attuale, Miguel Díaz-Canel, l’ex presidente Raúl Castro non ha fatto alcun intervento al seggio (Epa)

A differenza del leader attuale, Miguel Díaz-Canel, l’ex presidente Raúl Castro non ha fatto alcun intervento al seggio (Epa)

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«Votando per la Costituzione, i cubani votano anche per l’America Latina e i Caraibi. Votano per il Venezuela, perché là si gioca la dignità del Continente». C’è un fondo di verità nelle parole pronunciate dal presidente, Miguel Díaz Canel, domenica, prima di infilare la scheda nell’urna.

Anche il referendum sulla nuova Magna Carta ha risentito della “tempesta perfetta” in atto a Caracas. In particolare, i toni accesi della Casa Bianca – «I giorni del socialismo e del comunismo sono contati non solo in Venezuela, ma anche in Nicaragua e a Cuba», ha detto Donald Trump la scorsa settimana – sono stati impiegati dall’Avana per convincere i riluttanti a far muro contro «l’imperialismo yanky». Non si sa se per tale strategia o per la capacità di mobilitazione del Partito – o ancora, come affermano i dissidenti, per il suo potere di “forzare la mano” – il governo ha centrato l’obiettivo. In base ai risultati preliminari, diffusi ieri dall’esecutivo – e non riconosciuti da alcuni settori critici –, 7,5 milioni di cittadini si sono recati alle urne, oltre l’84 per cento. Di questi, l’86,8 per cento ha ratificato la Carta, il 9 per cento l’ha rifiutata mentre le schede bianche sono state il 4,5.

Il governo, da parte sua, ce l’aveva messa tutta per promuovere la Carta. La stessa data scelta per la consultazione aveva un forte valore simbolico: il 24 febbraio di 124 anni fa, l’eroe nazionale José Martí diede inizio alla guerra di indipendenza. L’emancipazione dal colonialismo spagnolo, tre anni dopo, però, trasformò l’isola in un protettorato informale degli Usa. Fino appunto alla Revolución del 1959.

Sessant’anni dopo, la realtà nazionale e internazionale è cambiata «in modo incommensurabile. Per questo, da decenni, la società cubana chiede a gran voce un nuovo patto sociale, espresso in una Costituzione differente da quella del 1976. Il testo approvato dal Parlamento a dicembre e sottoposto a scrutinio, però, non realizza tale aspettativa. Esso propone dei cambiamenti in ambito soprattutto economico per legittimare nuove pratiche, in parte già in uso, e modellare il potere costituito in modo funzionale a nuovi attori politici che cominciano a esercitare ruoli di governo», spiega Roberto Veiga, avvocato e direttore del laboratorio di idee Cuba Posible, uno dei principali spazi di dibattito plurale dell’isola. I più radicali tra conservatori e riformisti sono rimasti, dunque, entrambi scontenti, per opposte ragioni.

Il comunismo e il Partito unico restano il motore dello Stato. Non vengono introdotti pluripartitismo e elezione diretta del presidente e dei governatori. Per la prima volta, però, il testo riconosce la proprietà privata, incentiva gli investimenti stranieri e attua una decentralizzazione del potere. Viene, inoltre, fissato il limite dei due mandati consecutivi, l’età massima dei dirigenti non può oltrepassare i 65 anni e viene introdotta la figura del premier. «La Costituzione potrebbe essere solo un documento di transizione. Il preludio di un’era differente in cui si realizzi finalmente il “nuovo patto sociale”».

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