venerdì 26 gennaio 2024
Dopo mesi di tentennamenti, di dubbi politici e davanti a un pronunciamento dell'Onu, i giudici hanno preso la decisione. Un anno d'attesa inutile per la popolazione ostaggio della violenza delle gang
Port-au-Prince è in preda allo scontro tra gang e alla povertà

Port-au-Prince è in preda allo scontro tra gang e alla povertà - Reuters

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Nulla. Mesi dopo il via libera delle Nazioni Unite, anni dopo omicidi di Stato, esecuzioni per strada, macerie del terremoto e morti per malattie più che curabili l'isola della disperazione, cioè Haiti, si è vista negare un barlume di speranza: che il contingente dei Caschi blu, seppur essenziale nei numeri e negli armamenti, potesse in qualche modo far riemergere il Paese dal baratro della violenza e allentare un po' la presa dal giogo delle bande criminali. L'Alta corte del Kenya si è pronunciata infatti oggi contro il piano del governo di dispiegare forze di polizia nazionali ad Haiti per guidare una missione multinazionale sostenuta dalle Nazioni Unite con l'obiettivo di ristabilire la pace e la sicurezza nella nazione caraibica alle prese con la violenza dilagante. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu, lo scorso ottobre, aveva dato il via libera ad una missione guidata dal Kenya, ma dopo le critiche in patria, l'opposizione aveva presentato una petizione all'Alta corte di Nairobi.
Come riporta Afp, il giudice Enock Chacha Mwita ha stabilito che «qualsiasi decisione da parte di un organo o di un funzionario statali di dispiegare agenti di polizia ad Haiti contravviene alla Costituzione e alla legge ed è quindi incostituzionale, illegale e non valida».

Ieri, alla vigilia della decisione della Alta Corte di Nairobi sul dispiegamento di una forza multinazionale ad Haiti guidata dal Kenya, il Consiglio di sicurezza dell'Onu aveva tenuto a New York una riunione informativa sulla crisi, durante la quale era stata confermata l'urgenza di un intervento internazionale per contrastare le bande criminali attive nel Paese. Durante l'incontro, il rappresentante permanente keniano alle Nazioni Unite, Martin Kimani, abveva anche evocato "notevoli progressi nella fase preparatoria della missione", e aggiunto che una nuova riunione operativa era in agenda per metà febbraio. Da parte sua, il ministro degli Esteri haitiano, Jean Victor Généus, aveva chiesto alle parti coinvolte nella preparazione della missione di "fare presto", perché "un giorno di ritardo è un giorno di più nell'inferno delle bande". Al riguardo Généus in aula aveva anche ricapitolato le statistiche del dramma che vive la popolazione haitiana in alcune regioni del Paese, fra cui Port-au-Prince. Nel 2023, ha ricordato, "sono state uccise più di 5.000 persone tra cui 37 agenti di polizia. I feriti sono stati 1.432, e sono stati recensiti più di 200.000 sfollati".

A rendere ancora più forte l'amarezza, il fatto che la decisione, probabilmente inoppugnabile dal punto di vista del diritto, venga proprio da un organo giudiziario che si è assunto il compito di levare la politica da una patetica situazione di imbarazzo internazionale. Fa sorridere che il Paese che è considerato la capitale africana dell'assistenza umanitaria e sede della maggior parte delle agenzie di assistenza delle Nazioni Unite, che hanno trasformato Nairobi nella città più cara dell'Africa per gli affitti portati alle stelle dai funzionari, abbia deciso per tutti. Rinviando ancora la speranza di un popolo intero, la cui popolazione (per una percentuale che sfiora il 95 per cento) è di origine africana. Ora passeranno mersi, forze anni, prima che qualcosa si possa muovere. Con buona pace della politica haitiana inesistente e buoni affari per la criminalità. in mezzo, tra il nulla e il tutto, come sempre la gente delle citta senza fognature, senza luce e senza dignità.

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