giovedì 19 maggio 2022
Zelensky conferma che il raccolto dei cereali sarà dimezzato. Emerge la responsabilità della Russia nel contribuire a una crisi alimentare che può colpire decine di milioni di persone
Guerra giorno 85, l’invasione adesso sta togliendo cibo al mondo intero
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Nell’85° giorno di guerra in Europa emerge nel pieno della sua drammaticità la crisi alimentare globale che è stata innescata dall’invasione russa del “granaio del mondo”:

Dall'Ucraina (e dalla Russia), infatti dipende il 30% della produzione mondiale di grano, l'80% di quella di olio di girasole e un quinto del commercio del mais.

Dopo gli ultimi allarmi internazionali, che parlano di decine di milioni di persone colpite, il presidente Zelensky ha annunciato che il raccolto dei cereali sarà verosimilmente dimezzato, provocando una penuria sui mercati e un ulteriore forte aumento dei prezzi (già superiori del 30% rispetto all’anno scorso). A peggiorare la situazione è anche il blocco dei trasporti via mare, per la chiusura del Mar Nero da parte della flotta di Mosca, e via terra, per i combattimenti e i danni alle infrastrutture provocati dai bombardamenti.

Difficile dire se questi effetti siano stati presi in considerazione dal Cremlino quando ha deciso di lanciare la sciagurata “operazione militare speciale”. Forse, ancora una volta, tutto nasce dalle previsioni clamorosamente sbagliate di una guerra lampo, da concludere in poche settimane, se non pochi giorni, culminata nella resa di Kiev. In tal caso, la produzione agricola avrebbe potuto continuare senza particolari intralci e le esportazioni sarebbero proseguite, sotto il controllo di un nuovo governo filorusso.

Ma le cose non sono andate in questo modo, il conflitto sta devastando le zone di maggiore produzione di grano, mais e altri prodotti alimentari fondamentali per tanti Paesi in Africa e Asia. La circostanza non sembra turbare Putin più di tanto, poiché nulli o quasi sono gli sforzi per permettere almeno la partenza dei carichi già pronti di derrate agricole. Fino a gennaio l’Ucraina esportava 4,5 milioni di tonnellate di prodotti agricoli ogni mese dai suoi porti e 20 milioni di tonnellate di prodotti sono ancora stoccati nei silos.

Se nell’evolversi della crisi è sembrato che gli Stati Uniti abbiamo modificato i propri piani per sfruttare la guerra come strumento per indebolire la Russia (una guerra per procura, in qualche modo), oggi pare potersi affermare che anche Mosca stia usando cinicamente l’arma della fame, probabilmente non progettata inizialmente, per mettere pressione sull’Ucraina e il fronte occidentale affinché fermino i combattimenti e vengano a trattare alle condizioni del Cremlino.

Lo scenario che infatti si prospetta è quello di una penuria che in tante zone potrà aggravare la situazione alimentare già precaria e incendiare contesti sociali e politici instabili. Le stesse agenzie delle Nazioni Unite hanno difficoltà a procurarsi cibo da distribuire dove le carestie, come nel Corno d’Africa, già mordono drammaticamente. A cascata arrivano gli effetti indotti, come lo stop all’export deciso pochi giorni fa dall’India, un altro grande produttore.

Un’iniziativa europea per aprire corridori al grano è stata presentata, ma dovrà trovare rispondenza in entrambe le parti belligeranti per essere attuata tempestivamente. Va da sé che una tregua sarebbe la migliore risposta a questa emergenza umanitaria.

La proposta italiana in quattro tappe che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha discusso con il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres è certamente una mossa interessante. Essa prevede un cessate il fuoco e lo smantellamento della linea del fronte, per poi introdurre la neutralità dell’Ucraina e la sua adesione alla Ue. Seguirebbero la risoluzione delle controversie sul Donbass e la Crimea per poi giungere a un accordo multilaterale per la sicurezza in Europa. Questa ambiziosa road-map dovrà ora misurarsi con la reale volontà di Mosca e Kiev.

Dal terreno, in questo senso, non arrivano novità confortanti, perché Putin continua a bombardare nel Donbass, spingendo avanti, seppure di pochi chilometri, le proprie truppe, mentre il presidente ucraino scommette sull’esaurimento imminente degli arsenali missilistici dell’avversario e manda proclami sulla riconquista delle città del Sud cadute in mano all’invasore. Washington avrebbe negato la concessione di lanciarazzi a lunga gittata per evitare che Kiev possa colpire oltreconfine provocando una ulteriore escalation. Se il sostanziale stallo militare proseguirà, la diplomazia potrà forse riguadagnare spazio e anche la crisi alimentare potrà essere mitigata.

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