venerdì 15 novembre 2013
​Gli «orfani di Yolanda» facile preda dei trafficanti. L'Onu: aiuti troppo lenti, oltre 4mila morti. L'Oms: sepolture di massa a Tacloban, possibile violazione dei diritti umani fondamentali. Il governo, sotto pressione per i ritardi nei soccorsi, respinge le critiche (di Stefano Vecchia)
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INIZIATIVA CEI Nelle chiese raccolta il 1° dicembre
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Con il pretesto di salvare o curare i bambini, i trafficanti li rapiscono e li vedono ai pedofili. Oppure guadagnano somme ingenti di denaro fornendo i bambini per adozioni illegali». La denuncia arriva da padre Shay Cullen, missionario irlandese attivo nella lotta allo sfruttamento minorile e alla pedofilia nelle Filippine.Quelli che mass media già definiscono «gli orfani di Yolanda» (Haiyan, secondo la classificazione internazionale) sarebbero «le vittime privilegiate di sciacalli che li sequestrano a scopo di pedofilia o del traffico di esseri umani. Una prospettiva purtroppo non nuova in caso di calamità naturali e che si ripresenta anche nella devastazione delle Visayas. Come conferma l’agenzia <+corsivo>Fides<+tondo>, le autorità filippine sono coscienti del rischio e il dipartimento per gli Affari sociali e lo Sviluppo ha già segnalato agli operatori umanitari «l’alto rischio del traffico di bambini» nelle zone devastate dal tifone. Intanto, continua a salire il bilancio di vittime e – inevitabilmente – la conta dei danni a Leyte e sulle altre isole colpite dalla violenza del super-tifone Haiyan venerdì 8 novembre. Secondo l’Onu, che cita fonti del governo di Manila, i morti sono già 4.660. Sempre per i dati ufficiali, sarebbero poco più di 8 milioni i filippini colpiti in una qualche misura da Haiyan e di questi 360mila ospitati in 1.099 centri di evacuazione, mentre la maggioranza sopravvive spesso senza un tetto in condizioni sempre più difficili. Si aggrava anche la situazione sanitaria, mentre l’avvio delle sepolture di massa a Tacloban potrebbe violare – come ricordato dall’Organizzazione mondiale della Sanità – diritti umani fondamentali.

«Ci sono ancora così tanti cadaveri in così tanti posti. La situazione fa paura». Così il sindaco di Tacloban, Alfred Romualdez, descrive le condizioni nella città-simbolo della devastazione filippina. Le operazioni di recupero dei cadaveri continuano, ma le autorità locali «hanno bisogno di più uomini e più mezzi» per non trovarsi nella condizione – ha spiegato il sindaco – di usare un camion per trasportare i cadaveri la mattina e utilizzare lo stesso per distribuire cibo il pomeriggio».Ieri le Nazioni Unite hanno lanciato un nuovo appello ad accelerare la risposta internazionale «troppo lenta». A Manila, il sottosegretario Onu per gli Affari umanitari Valerie Amos ha ricordato alla stampa «che ci sono aree ancora non raggiunte dai soccorsi dove la popolazione ha disperato bisogno di aiuto». «La situazione è spaventosa», ha osservato Amos. «La gente ha un disperato bisogno di aiuto – ha aggiunto –. Stanno già dicendo che l’assistenza ci ha messo troppo ad arrivare».A conferma che le autorità filippine sono sotto pressione per la gestione dell’emergenza e degli aiuti, il sottosegretario Eduardo del Rosario ha ricordato che «il governo sta facendo del suo meglio» e ha respinto le critiche come «soggettive». Ma si rileva da più parti come la mancanza di una struttura centralizzata di coordinamento rallenti l’intera macchina dei soccorsi. Oltre alle difficoltà logistiche, la difficoltà a estendere i soccorsi fuori dalla città di Tacloban dipende anche dall’insicurezza del territorio, come dimostrato da episodi di aggressioni, saccheggi e anche imboscate alle colonne di soccorso da parte di folle di disperati, bande criminali e guerriglieri maoisti del Nuovo esercito del popolo. Quest’ultimo ha comunicato ieri di avere deciso una tregua di dieci giorni per facilitare le operazioni di soccorso, avvertendo che non saranno tollerate iniziative militari ostili.

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