Kofi Annan in una foto del settembre 2002 (Ansa)
È morto Kofi Annan, l'ex segretario generale dell'Onu. Annan si è spento in Svizzera all'età di 80 anni dopo una breve malattia. Nato in Ghana nel 1938, Annan è stato il settimo segretario generale Onu, dal 1997 al 2006. Ha vinto il premio Nobel per la pace nel 2001.
Kofi Annan lo sapeva. Sapeva fin da quell’esordio nel 1962 nell’Organizzazione Mondiale della Sanità (una delle più importanti agenzie dell’Onu) che lavorare per il Palazzo di Vetro sarebbe stato un onere oltre che un onore. E anche un’insidia permanente, come ebbe a constatare insediandosi il 1 gennaio 1997 al 38esimo piano del grattacielo disegnato da Oscar Niemeyer a New York, raccogliendo il testimone del segretario uscente, l’egiziano Boutros Boutros-Ghali, giacché il “manuale Cencelli” delle Nazioni Unite imponeva la rotazione da un continente all’altro: e Boutros-Ghali era africano, come africano era Annan.
Ma Kofi, nato nel 1938 a Kumasi, capitale della regione Ashanti del Ghana, era un tipo speciale. Figlio di un manager africano di un’azienda europea che intratteneva relazioni commerciali con il Continente nero, discendeva da lombi illustri – una conclamata nobiltà tribale – e puntava in alto, complice una predisposizione naturale alla ribalta (gli giovò in questo la sorprendente somiglianza con l’attore Morgan Freeman) e un inconfesso amore per la propria immagine.
Chi lo vedeva uscire al mattino dalla residenza ufficiale di Sutton Place sulla 57ma Est a Manhattan poteva imbattersi in un burbero signore avvolto in un mantello regale in procinto di recarsi nell’ufficio più scomodo del pianeta. Ed è in quel Palazzo di Vetro che Annan si assicurò i galloni che gli avrebbero guadagnato nel 2001 il Premio Nobel per la Pace mentre si adoperava a quel progetto di riforma dell’Onu che fu quasi un’ossessione nel corso dei suoi due mandati come segretario generale.
Non gli erano mancati i momenti difficili. Come quando nel 2003 diffidò Stati e Uniti e Regno Unito dall’invadere l’Iraq senza prima aver ottenuto l’appoggio dell’Assemblea dell’Onu; e nemmeno le critiche, prima fra tutte la difficile gestione come responsabile delle missioni di peacekeeping: accusato di inerzia di fronte al genocidio in corso nel Rwanda, venne parimenti biasimato per aver rimosso il veto ai bombardamenti della Nato in Bosnia (il che gli valse l’eterna gratitudine americana che fu probabilmente all’origine della decisione di indicarlo come successore di Boutros-Ghali).
Parallelamente allo sforzo di svecchiare i meccanismi dell’Onu – fatalmente inchiodato al diritto di veto dei suoi cinque membri permanenti (Stati Uniti, Cina, Federazione Russa, Francia e Regno Unito) e a certe farraginosità del Consiglio di Sicurezza – Kofi Annan perseguiva la sua visione basata sui diritti umani, lo sviluppo sostenibile, lo Stato di diritto. «Sono un ottimista cocciuto – diceva – sono nato ottimista e lo rimarrò sempre».
Lo confermò anche quando suo figlio Kojo rimase impigliato nel 2004 nello scandalo conosciuto come “Oil for Food”, dal nome del programma che consentiva all’Iraq di vendere petrolio per procurarsi cibo e medicine. «I’m disappointed», sono deluso, disse Kofi, quando scoprì che il figlio era sul libro paga di una società coinvolta in un giro di tangenti. Ma tirò dritto. «Lavoriamo in contesti diversi», proclamò. Non fu l’unico incidente.
Una volta concluso il mandato di segretario generale gli venne affidato nel 2012 il dossier siriano; provò a negoziare fra Damasco e i ribelli, ma declinò l’incarico dopo pochi mesi: «Mission impossibile", sostenne, suggerendo peraltro che la Russia e l’Iran avrebbero dovuto prender parte ai negoziati sul conflitto. Fu facile profeta, come si è poi visto, ma non dentro il Palazzo di Vetro, che lo reputò troppo indipendente.
I tagli preannunciati da Donald Trump nei mesi scorsi al bilancio dell’Onu non hanno scalfito la sua serenità. «Le Nazioni Unite – ha detto in un’intervista alla Bbc – sono sicuramente migliorabili, ma se non esistessero bisognerebbe inventarle».
Si è spento a Ginevra all’età di 80 anni. Tutti ora lo onorano e lo piangono, da Putin ai satrapi del Golfo, da Obama a Macron, dalla Merkel a Prodi, e non sono solo frasi di circostanza. Lascia scritto: «Ho cercato di mettere gli esseri umani al centro di tutto, che si trattasse di prevenire un conflitto, gestire lo sviluppo o pensare ai diritti umani». La più luminosa delle lezioni che il segretario-rock star ci poteva offrire.