Parole come pietre, video choc: come reagire alla comunicazione di Trump

Morcellini: il presidente Usa è ossessionato dal poter dire qualcosa di nuovo tutti i giorni. Così vuole normalizzare la nostra angoscia. Per resistere, bisogna evitare di entrare nella sua "
March 2, 2025
Parole come pietre, video choc: come reagire alla comunicazione di Trump
Ansa | Donald Trump in un punto stampa con i reporter Usa
Il volto paonazzo, la postura aggressiva, le parole come pietre. Nulla di nuovo, purtroppo. Togliete Donald Trump dallo studio ovale mentre si scaglia contro Volodymyr Zelensky. Mettetelo in un’arena per comizi tra la folla osannante, in chiesa mentre ascolta le suppliche umanitarie di una donna vescovo o in un video creato dall’intelligenza artificiale nel quale prende il sole lungo la Striscia di Gaza insieme all’amico Benjamin Netanyahu. Sarà sempre lo stesso Trump, quello che da 40 giorni vuole sconvolgere il mondo. «C’è un nuovo sceriffo in città» direbbe J.D. Vance, il suo vice pronto ad aizzarlo e a blandirlo come ha fatto venerdì a Washington scatenando lo sdegno del leader ucraino. «Non fa nulla per correggersi, nulla per aderire alla missione pubblica che gli è stata affidata per la seconda volta dai cittadini americani» spiega Mario Morcellini, professore emerito di comunicazione all’Università La Sapienza di Roma. L’uomo più potente al mondo «fa di tutto per scuotere dalle sue spalle i pesi gravosi dell’incarico, moltiplicando all’infinito il suo istinto bestiale».
È la prova che la comunicazione politica è finita, perché è diventata tutto e il contrario di tutto. Un’arma potente da usare, ma anche un boomerang. «Siamo davvero alla regressione morale, alla secessione delle nostre certezze» ribadisce lo studioso quando gli si chiede se e come sopravvivremo a questo magma verbale, in cui escono ammiccamenti, paranoie, battute. «Donald Trump sta infliggendo alla coscienza pubblica occidentale una serie di colpi senza precedenti. Lavora sulle nostre percezioni e sulla nostra anima, provocando in noi un male oscuro, quasi psicologico».
Vista dall’universo dei vecchi media, largamente minoritario ormai nell’orientare l’opinione pubblica, il frutto delle continue sollecitazioni mediatiche provoca una continua polarizzazione, tra chi sta con lui e chi sta contro di lui. «La saturazione di eccessi e di strilli sta portando a una normalizzazione dell’angoscia – continua Morcellini – che mette alla prova le nostre menti, continuamente sotto stress e sotto attacco».
In chi invece non si informa, in chi vuole scientemente tenersi ai margini del dibattito pubblico, la propaganda trumpiana fa breccia immediatamente perché provoca empatia (o antipatia, a seconda dei casi e delle attitudini), perché «il tycoon sa come sfruttare le debolezze ontologiche della comunicazione: a lui non interessa il quadro dei fatti, ma la cornice che gli sta intorno».
L’uomo appare dunque alla ricerca di continue provocazioni, di pulsioni da appagare, di illusioni da rivendere a caro prezzo (possibilmente). «Did I say that?», «Davvero ho detto questo?» ha risposto durante l’incontro con Keir Starmer a chi chiedeva conto al presidente Usa di quella definizione, «dittatore», affibbiata allo stesso Zelensky. Sì, davvero Donald Trump l’aveva detto, eppure in quel momento si è mostrato incredulo, un po’ sornione e un po’ sprezzante verso i suoi interlocutori. Nella sua overdose comunicativa, si stava probabilmente preparando all’ultimo confronto della settimana in scena alla Casa Bianca. Fateci caso: l’ultima versione, l’ultima battuta di Trump è sempre la più sorprendente. Ma non fa ridere, fa paura. Fa certamente audience. Quello che davvero conta. Un annuncio sensazionale al giorno. Una falsificazione dietro l’altra. Una smentita che fa notizia. «È come ossessionato, ogni giorno, dal poter dire qualcosa di nuovo, a tutti i costi. L’obiettivo resta sempre quello di riuscire ad alzare i decibel della confusione».
Di questo passo, chissà quando misureremo i danni di questa sovreccitazione. «Alla fine resterà in piedi solo chi deciderà di non entrare in questo gioco perverso: chi non si servirà solo di una comunicazione fatta di punti esclamativi, ma anche di frasi più complesse, che prevedono soggetti, verbi e persino il congiuntivo» argomenta Morcellini. È l’unica buona notizia per l’Europa e per quella parte di Occidente che oggi è sgomenta: restare capaci di un pensiero e di una visione forse ci salverà.

© RIPRODUZIONE RISERVATA