«Caro Donald Trump, fermi subito questo spargimento di sangue»
Sindaci, imprenditori e politici locali firmano un appello alla Casa Bianca in cui implicitamente prendono le distanze da Hamas. «Ora il presidente si schieri con noi, per la pace»

«A nome del popolo di Gaza, ci rivolgiamo a lei che ha il potere di riuscire dove altri hanno fallito: fermare lo spargimento di sangue, proteggere vite innocenti e gettare le basi per una pace giusta e duratura». Per la prima volta da quando è iniziata la distruzione della Striscia da parte dell’esercito israeliano, un gruppo di importanti esponenti della società civile e politica di Gaza ha inviato una lettera a Donald Trump, chiedendo al presidente degli Stati Uniti di fare pressione su Israele per fermare il conflitto. È un appello disperato che suona come una supplica rivolta all’unico leader politico ritenuto in grado di fermare la macchina bellica di Tel Aviv: «Nessuna voce oggi ha più peso della sua. Con una semplice richiesta di cessate il fuoco, per la protezione dei civili e per l’ingresso degli aiuti umanitari, potrebbe cambiare il corso di questo conflitto. Il popolo di Gaza non dimenticherebbe mai il momento in cui Donald J. Trump ha riportato vita, speranza e dignità in un luogo di disperazione». La lettera, consegnata tramite intermediari e mostrata in esclusiva al Times of Israel, è firmata da diciassette tra imprenditori, economisti e politici locali, tra cui il sindaco di Gaza City, Yahya al-Sarraj, il presidente della Camera di Commercio, Ayed Abu Ramadan, e il noto imprenditore Marwan Tarazi, direttore del prestigioso Gaza College.
I promotori dell’appello, secondo quanto hanno precisato loro stessi, non rappresentano alcun partito politico e intendono lanciare un segnale al mondo: esiste una Gaza diversa, che vuole uscire a tutti i costi dalla guerra e sogna la ricostruzione.
Si tratta di un’iniziativa senza precedenti, un tentativo di aprire un canale di comunicazione diretto con gli Stati Uniti senza passare attraverso le consuete mediazioni ufficiali. È la prima volta che un gruppo di personalità di Gaza si rivolge direttamente alla Casa Bianca prendendo le distanze, in modo implicito ma chiaro, da Hamas, che governa la Striscia dal 2007. I firmatari affermano che il movimento islamista non ha più il sostegno della popolazione e che la maggior parte dei gazawi non vuole più vivere sotto il suo controllo. Alcuni di essi hanno espresso in privato critiche esplicite contro il gruppo, accusato di aver aggravato l’isolamento della Striscia e di non rappresentare in alcun modo gli interessi della popolazione. Secondo Abu Ramadan, l’Olp e l’Autorità Nazionale Palestinese restano le uniche entità legittimate a rappresentare politicamente i palestinesi.
Molti dei promotori della lettera sono rimasti nella Striscia durante tutto il conflitto, mentre gran parte dell’élite economica e professionale è riuscita a lasciare Gaza tra la fine del 2023 e la primavera del 2024, quando il valico di Rafah era stato temporaneamente aperto e le autorità egiziane avevano concesso l’uscita a chi poteva permettersi di pagare somme elevate.
Lo stesso Abu Ramadan, tuttora a Gaza, ha dichiarato che la scelta di restare è condivisa dagli altri firmatari. «Non lasceremo la Striscia. Non accetteremo di essere espulsi. Restiamo qui», ha detto, sottolineando la volontà di rimanere sul territorio a qualunque costo. La lettera si chiude con la richiesta accorata a Trump di «schierarsi con Gaza, con la sua popolazione innocente, e per la pace». Non è chiaro se la Casa Bianca o lo staff del presidente l’abbiano ricevuta formalmente o se vi sarà una risposta. Ma per i promotori dell’appello, decisi ad aprire uno spazio di discussione sulla ricostruzione della Striscia al di là delle dinamiche tra Hamas e Israele, ogni canale resta aperto.
I promotori dell’appello, secondo quanto hanno precisato loro stessi, non rappresentano alcun partito politico e intendono lanciare un segnale al mondo: esiste una Gaza diversa, che vuole uscire a tutti i costi dalla guerra e sogna la ricostruzione.
Si tratta di un’iniziativa senza precedenti, un tentativo di aprire un canale di comunicazione diretto con gli Stati Uniti senza passare attraverso le consuete mediazioni ufficiali. È la prima volta che un gruppo di personalità di Gaza si rivolge direttamente alla Casa Bianca prendendo le distanze, in modo implicito ma chiaro, da Hamas, che governa la Striscia dal 2007. I firmatari affermano che il movimento islamista non ha più il sostegno della popolazione e che la maggior parte dei gazawi non vuole più vivere sotto il suo controllo. Alcuni di essi hanno espresso in privato critiche esplicite contro il gruppo, accusato di aver aggravato l’isolamento della Striscia e di non rappresentare in alcun modo gli interessi della popolazione. Secondo Abu Ramadan, l’Olp e l’Autorità Nazionale Palestinese restano le uniche entità legittimate a rappresentare politicamente i palestinesi.
Molti dei promotori della lettera sono rimasti nella Striscia durante tutto il conflitto, mentre gran parte dell’élite economica e professionale è riuscita a lasciare Gaza tra la fine del 2023 e la primavera del 2024, quando il valico di Rafah era stato temporaneamente aperto e le autorità egiziane avevano concesso l’uscita a chi poteva permettersi di pagare somme elevate.
Lo stesso Abu Ramadan, tuttora a Gaza, ha dichiarato che la scelta di restare è condivisa dagli altri firmatari. «Non lasceremo la Striscia. Non accetteremo di essere espulsi. Restiamo qui», ha detto, sottolineando la volontà di rimanere sul territorio a qualunque costo. La lettera si chiude con la richiesta accorata a Trump di «schierarsi con Gaza, con la sua popolazione innocente, e per la pace». Non è chiaro se la Casa Bianca o lo staff del presidente l’abbiano ricevuta formalmente o se vi sarà una risposta. Ma per i promotori dell’appello, decisi ad aprire uno spazio di discussione sulla ricostruzione della Striscia al di là delle dinamiche tra Hamas e Israele, ogni canale resta aperto.
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