venerdì 25 gennaio 2019
Lo storico parigino: «Molti i Paesi africani co-responsabili nella gestione»
Africa, la moneta che parla francese ricomincia a dividere un continente
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«Esiste il peccato originale della nascita del franco Cfa nel contesto coloniale, è vero, ma ormai i Paesi africani sono co-responsabili con l’Europa nella gestione di questa moneta». A sostenerlo è Pierre Vermeren, professore di Storia contemporanea alla Sorbona, ed attento osservatore delle relazioni fra Francia e Paesi africani.

I detrattori parlano di retaggio coloniale. Sono accuse storicamente fondate? L’uso di questa tesi è oggi prevalentemente polemico, tanto più se si considera che dopo la scomparsa del franco francese e l’avvento dell’euro, c’è stata una rottura con il passato. In fondo, il franco Cfa non ha più, oggi, lo stesso nome della moneta dell’ex colonizzatore. Certo, il franco Cfa resta legato alla Banca di Francia, ma quest’ultima dipende ormai dalla Banca centrale europea. Il franco Cfa è dunque entrato maggiormente nell’orbita europea. C’era un’eredità coloniale che è stata così ridotta. Se la moneta è certamente una dimensione simbolica molto forte, occorre dire che l’eredità coloniale ha riguardato anche altri ambiti, come amministrazione, trasporti, medicina, università, giustizia, forze armate. Questo è vero anche nel mondo post-coloniale britannico, belga e così via. Il franco Cfa è certamente un simbolo, ma è solo una parte dell’insieme d’istituzioni sopravvissute all’epoca coloniale.

A livello politico, si tratta di una controversia ancora viva? I Paesi che volevano abbandonare il franco Cfa, l’hanno fatto. I Paesi rimasti in questo sistema, l’hanno fatto volontariamente e il tema non è più oggi un argomento elettorale per i partiti africani. La fase più critica è stata vissuta negli anni Novanta, ma a causa del problema economico dell’eccessiva valutazione del franco. È vero che il controllo della massa monetaria del franco Cfa e la stampa delle banconote rimangono ancor oggi in parte in Francia e in parte presso le istituzioni europee, ma processare la Francia per quest’eredità sembra ormai un po’ eccessivo, anche considerando che la Banca di Francia non è più autonoma. Il franco Cfa non sarà una moneta ottimale, ma crea comunque una zona monetaria allargata in un’ampia parte dell’Africa. Il resto dell’Africa, non dimentichiamolo, funziona spesso con i dollari. L’economia algerina è ad esempio dollarizzata, com’è in parte il caso per l’Egitto.

Anche in questi casi, volendo essere polemici, si potrebbe dire che c’è un fondo neocoloniale, aggravato inoltre da una certa anarchia. Nel caso dell’area del franco Cfa, i Paesi funziona- no invece con la propria moneta. Una moneta stabile e convertibile sul piano internazionale, a differenza di tante altre monete del Sud del mondo. Ciò presenta certamente dei vantaggi, in chiave di commercio estero.

Si può dire, storicamente, che il franco Cfa è stato un fattore di potenza e d’influenza per la Francia? Certamente, tanto più nel contesto della Guerra fredda. In quel contesto, la Francia fu incaricata dagli Stati Uniti di mantenere un certo numero di Paesi africani nel campo occidentale. La moneta era allora certamente un fattore di controllo all’interno dell’Occidente. Proprio per questo, l’uscita della Guinea dal franco Cfa fu tormentata e venne vissuta da Charles de Gaulle come una sorta d’affronto personale. Ma rispetto agli anni Sessanta, gli scenari sono oggi radicalmente cambiati.

Ma il franco Cfa non resta un fattore di dipendenza? La vera dipendenza africana è oggi molto più tecnologica e industriale, che monetaria. C’è soprattutto un profondo problema di formazione. Se la moneta è una dimensione simbolica forte, non deve per questo servire a nascondere i veri problemi. Il franco Cfa non impedisce la libertà dei Paesi, né il commercio internazionale.

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