giovedì 24 luglio 2014
L’Isis crocifigge i nemici, segrega le donne e chiude le università.
Islam tra diritti ed estremismo di Giulio Albanese
Sulle case di tutti di Marco Tarquinio
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Definirla legge della giungla sarebbe troppo clemente. Nei pochi mesi intercorsi tra la sua occupazione della provincia siriana di Raqqa quella irachena di Mosul, l’Isis di Abu Bakr al-Baghdadi ha riportato buona parte del Medio Oriente indietro nella notte dei tempi. Sopra la testa di milioni di persone che vivono nei territori del “Califfato” pende ora la spada di leggi oscurantiste che ricordano da vicino quelle imposte dai taleban afghani. Il “Codice di condotta” articolato in 16 punti e diffuso dall’Isis dopo la presa di Mosul e la cacciata delle famiglia cristiane si arricchisce ogni giorno di nuove norme che intendono, secondo gli ideologi, «riportare la società islamica alla sua purezza originale». Il documento è stato chiamato Wathiqat al-Madina erroneamente tradotto con «Patto con la città». In verità, i jihadisti intendevano evocare il «Patto di Medina» con cui Maometto ha fissato, poco dopo la sua migrazione nel 622 in questa città, le regole della convivenza tra i diversi gruppi tribali locali, musulmani ed ebrei. Tra i sedici punti promulgati si leggono la proibizione di ogni forma di politeismo, la pena di morte per l’apostasia dall’islam, l’obbligo per gli ex poliziotti e militari del governo iracheno di fare una pubblica dichiarazione di pentimento, il dovere per i musulmani di osservare le preghiere alle ore comandate, il divieto del consumo di alcol e tabacco. Per le donne le indicazioni sono precise: «Devono restare in casa, uscire solo se necessario, il loro ruolo è provvedere alla stabilità del focolare». Senza parlare delle restrizioni imposte a sarti, parrucchieri, cliniche e negozi di abbigliamento. A Raqqa, l’altra “capitale” del Califfato, una squadra di donne dell’Isis ha il compito di vegliare. Da fonte curda si apprende di emissari del Califfo che avrebbero intimato all’Università di Mosul di mettere fine alla promiscuità tra i sessi all’interno dell’ateneo, nonché la chiusura delle facoltà di Belle Arti e di Diritto, ritenute «contrarie alla sharia». Continua intanto a fare scalpore il nuovo “decreto” che vuole imporre l’infibulazione a «tutte le donne dello Stato islamico». Il decreto è datato 21 luglio e ha le insegne dello Stato islamico ad Aleppo, nella regione di Azaz, a nord della metropoli siriana. Il testo, che presenta numerosi errori tipografici, si basa su presunti hadith (detti) attribuiti a Maometto, ma le fonti usate (e anche questo fa dubitare dell’autenticità) non sono quelle solitamente citate per sostenere la validità della tradizione islamica. Il testo, diffuso sui siti, afferma che «nel timore che il peccato e il vizio si propaghino tra gli uomini e le donne nella nostra società islamica, il nostro comandante dei credenti Abu Bakr al-Baghdadi ha deciso che in tutte le regioni dello Stato islamico le donne debbano essere cucite». Se l’Isis conferma l’editto sull’infibulazione di massa nel Califfato sarebbe una cosa «raccapricciante», ha scritto ieri su Twitter il sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova, parlando di «un’intollerabile violenza, come la scristianizzazione forzata». Al di là dell’autenticità o meno di questo decreto, non manca certo la documentazione sulle sistematiche violazioni dei diritti umani da parte dell’Isis. Fanno inorridire le immagini che circolano sul Web e ritraggono decapitazioni, crocifissioni, lapidazioni (due recenti casi a Raqqa in 24 ore) e fustigazioni (l’ultima contro uno che ha aperto il ristorante in pieno Ramadan), eseguite in pubblico dai terroristi. Le accuse di shirk, bidaa o dalala (in arabo politeismo, eresia, deviazione dalla retta via) sono tra le più ricorrenti nei tribunali islamici istituiti dal Califfato, che così intendono mettere a tacere ogni contestazione da parte islamica. Ne sa qualcosa lo sceicco Muhammad al-Badrani, un imam sufi di Mosul, al quale sono state inflitte 70 frustate. Motivo? Ha continuato – nonostante gli avvertimenti – a ripetere dal minareto della moschea al-Kawthar lodi «aggiuntive» al Profeta prima dell’appello alla preghiera. E il suo non è un caso unico. Tra le vittime dei terroristi si contano finora 16 ulema di Mosul, assassinati perché si erano opposti all’interpretazione radicale della legge islamica o all’espulsione dei cristiani. Tra questi, gli imam della Grande moschea della città e della moschea del profeta Giona.
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