«Noi, donne, vittime del cambiamento climatico: non taceremo»
di Lucia Capuzzi, inviata a Belém
Alla Cop30 di Belém il primo summit delle native. Chiedono, in coro, delle risposte per uscire dall'emergenza che nei loro continenti già c'è. «Abbiamo le soluzioni, ascoltateci». Ecco le loro storie

«Mai avrei pensato di essere invitata a un vertice internazionale. Se mio padre mi vedesse…». Gli occhi di Rocío Silveiro, messicana Ñatho, uno dei popoli che formano la galassia nativa Otomi, si riempiono di lacrime al ricordo di Domingo, «l’uomo a cui devo tutto. Lui e mia madre non conoscevano lo spagnolo per questo sono stati emarginati e sfruttati – racconta –. I miei genitori, dunque, hanno lottato con tutte le loro forze per far studiare i figli. Di noi sette, solo io mi sono laureata in Amministrazione pubblica». Per questo, al ritorno nella sua comunità – Tamaya - Rocío è stata nominata “autorità tradizionale”»: la prima volta per una donna. Il Municipio, però, rifiutava di riconoscerle l’incarico. «Ho dovuto rivolgermi alla magistratura federale. È stato terribile: ero incinta della mia prima figlia, non avevo nemmeno i soldi per il bus per la città. Rinunciavo alla colazione per racimolarli. Mio padre, venditore ambulante, allora, spesso, mi accompagnava con il suo furgoncino scassato. Portava la mercanzia, lavorava e, poi, poi tornava a prendermi. Quando volevo mollare mi ripeteva: “Non lasciare che ti zittiscano”».
Lo stesso messaggio che le indigene di tutto il pianeta ha voluto portare alla Conferenza Onu sul Clima di Belém (Cop30) dove, in contemporanea ai negoziati, si è svolto il primo summit delle native. La “Cop delle guardiane”, l’hanno chiamata. Discriminate due volte: in quanto indigene e in quanto donne. Queste ultime sono le più vulnerabili di fronte al riscaldamento globale. Secondo le stime delle Nazioni Unite, saranno 236 milioni dei 367 milioni di persone ulteriormente dall’insicurezza alimentare per l’aumento delle temperature nel giro di 25 anni. L’emergenza ambientale, inoltre, causa un incremento in termini di violenza domestica e matrimoni precoci perché acuisce le discriminazioni esistenti. «Non siamo qui come vittime della crisi ma come risposta. Non chiediamo un posto al tavolo. Vogliamo solo ricordarvi che la Terra parla. E molte delle sue voci sono femminili», sottolinea la peruviana Tarcila Rivera Zea, presidente del Forum internazionale delle indigene (Fimi), una delle organizzatrici. Le fa eco la vice kenyana Lucy Mulenkey: «Non domandiamo inclusione. Ma il riconoscimento che senza di noi non può esserci alcuna transizione».
A Belém sono giunte dai cinque Continenti per mostrare le soluzioni concrete già in atto nei propri territori. Come il sistema di raccolta dell’acqua piovana per attenuare la crisi idrica ideato dalle attiviste di Papua Nuova Guinea. O la banca dei semi creata dalle leader Masai della Tanzania, Nidini Kimesera Sikar. O, ancora, l’innovativo meccanismo di monitoraggio realizzato da Aivanae Emmynka, climatologa dell’Artico russo, che abbina alla scienza le conoscenze ancestrali. «Iniziative tangibili che devono essere sostenute», spiega la filippina Joan Carling. Purtroppo, però, al momento appena l’1,4 per cento dei finanziamenti mondiali destinati all’uguaglianza di genere viene destinato alle organizzazioni indigene. Una delle proposte – insieme a protezione di terre e persone e voce in capitolo nelle decisioni – è aumentare la quota al 10 per cento almeno del nuovo fondo globale per gli ecosistemi terrestri. La Cop amazzonica è il palcoscenico ideale per presentarle. Seguendo un doppio binario: fuori e dentro, la piazza e il centro congressi. Ci sono gli eventi paralleli, come la “Cop delle guardiane”. E le proteste. Anche ieri un gruppo di esponenti Munduruku, guidati dalla leader Alessandra, ha bloccato per ore l’entrata al Palacio da Cidade, sede dei negoziati, contro i mega-progetti che minacciano l’Amazzonia. Alla fine hanno ottenuto un incontro le ministre brasiliane dell’Ambiente e dei Popoli nativi, Marina Silva e Sonia Guajajara, e il presidente della Cop, Andre Correa do Lago.
Fuori e dentro. Gli indigeni partecipano direttamente alle trattative attraverso mille dei 3mila rappresentanti al vertice e l’inedito consiglio creato per l’occasione. Ancora non ci sono dati ufficiali. Ma, anche solo camminando nei corridoi, si nota come in gran parte si tratti di donne e giovani. Del resto, in base agli ultimi dati di Carbon brief, quella di Belém è una delle Conferenze con maggior equità di genere: le delegate sono il 43 per cento dei quasi 57mila inviati totali.
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