Netanyahu "si scontra" con i militari sul piano di occupazione di Gaza
di Nello Scavo
Confermati i progetti di annessione. Un gruppo di 600 tra ex generali e agenti segreti israeliani scrive a Trump per convincere Tel Aviv a trattare ancora con Hamas

La strada verso l’annessione è stata tracciata. E quando 600 tra ex generali e agenti segreti israeliani chiedevano a Trump di intervenire su Netanyahu per fargli cambiare idea, il premier israeliano ha risposto annunciando «nuovi ordini» all’esercito. Per i media locali, che citano fonti vicine al governo, «la decisione è stata presa: Israele occuperà la Striscia di Gaza».
Secondo la testata Ynet Donald Trump avrebbe dato il “via libera” a una vasta operazione contro Hamas a causa dello stallo nei negoziati per il rilascio degli ostaggi. Nuovi raid che bloccherebbero anche la consegna di aiuti paracadutati da velivoli militari a cui si appresta a partecipare con propri aerei anche l’Italia. Ai vertici militari il progetto del premier non piace. Non a caso trasmettendo i nuovi ordini al capo di Stato maggiore Eyal Zamir, nominato ad aprile da Netanyahu, il primo ministro ha fatto sapere che «se non gli va bene, allora dovrebbe dimettersi». Parole che fino a sera non hanno ricevuto una smentita.
Politica e guerra, oggi indistinguibili, si giocano su più tavoli. Dal Consiglio di sicurezza Onu, che ieri ha visto arrivare il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar, ai palazzi delle monarchie mediorientali, fino ai lugubri tunnel di Gaza. Come in una macabra Mancala, il diffuso gioco da tavolo dove si vince con strategie di semina e cattura, le dichiarazioni pubbliche hanno lo scopo di mascherare i piani reali. «Hamas è aperto a negoziare un accordo globale per Gaza che porrebbe fine alla guerra nell’enclave palestinese e libererebbe tutti gli ostaggi detenuti», scrive The National, il quotidiano degli Emirati che cita proprie fonti secondo cui gli Stati Uniti stanno discutendo una nuova bozza di accordo insieme a Israele e con i mediatori di Qatar e Egitto. Le condizioni poste dai fondamentalisti armati non sono ancora considerate ragionevoli e sono interpretate come un sostanziale no a un accordo immediato. Hamas sembrerebbe disposta ad accettare l’ingresso giornaliero di 250 camion di aiuti, oltre a quelli destinati alla Gaza humanitarian foundation, la fondazione israelo-americana con cui nessuna organizzazione Onu né Ong vuole avere a che fare, dopo che i centri di distribuzione guardati a vista da contractor armati sono considerati una trappola per quelle centinaia di civili uccisi mentre si avvicinano ai siti della Ghf. Israele sostiene che a sparare siano i miliziani. Fonti sul posto (giornalisti palestinesi, operatori di Ong internazionali, agenzie Onu) accusano invece le Forze di difesa israeliane (Idf) e gli stessi contractor della Fondazione.
E mentre monta la protesta contro il governo Netanyahu, che ieri ha visto arrivare una petizione di oltre 600 funzionari della sicurezza israeliani in pensione, il primo ministro lancia altri annunci per tenere compatto il governo, e far sapere dentro e fuori Israele di come l’esecutivo sia inamovibile. Questione di giorni, forse ore, e il premier in persona convocherà una seduta del gabinetto di sicurezza per «raggiungere i tre obiettivi: sconfiggere il nemico, liberare gli ostaggi e garantire che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele».
Per i firmatari dell’appello a Trump, questo significa solo prolungare la guerra, quando invece i tre obiettivi, su cui concordano, possono essere ottenuti solo per altra via. A scriverlo non sono attivisti dal cuore tenero: «A nome del Csi, il più grande gruppo israeliano di ex generali dell’esercito, del Mossad, dello Shin Bet, della polizia e di corpi diplomatici equivalenti, vi esortiamo a porre fine alla guerra a Gaza. L’avete fatto in Libano. È ora di farlo anche a Gaza», dicono. Tra i firmatari ci sono calibri pesanti della storia recente di Israele. Per tutti ha parlato Ami Ayalon, ex direttore dello Shin Bet (il servizio segreto interno), in un video diffuso dal movimento Csi. La lettera è stata scritta e firmata fra gli altri anche da da tre ex capi del Mossad, il servizio segreto per l’estero (Tamir Pardo, Efraim Halevy, Danny Yatom); da altri quattro ex dirigenti dello Shin Bet (Nadav Argaman, Yoram Cohen, Ami Ayalon, Yaakov Peri, Carmi Gilon); e da tre ex capi di stato maggiore (l’ex premier Ehud Barak, Moshe Bogie Ya’alon, Dan Halutz). Riconoscono che «l’Idf ha da tempo raggiunto i due obiettivi che potevano essere ottenuti con la forza: smantellare l’esercito e il governo di Hamas». Rimane «il terzo, e il più importante, che può essere raggiunto solo attraverso un accordo: riportare a casa tutti gli ostaggi». Non sarebbe una resa ai fondamentalisti: «Rintracciare i restanti alti funzionari di Hamas può essere fatto più tardi», ma «gli ostaggi non possono aspettare», insistono i firmatari.
A innescare nuovi allarmi è stata la provocazione dell’ultradestra messianica di Itamar Ben Gvir, il ministro della Sicurezza che domenica, nel giorno del digiuno e del dolore di Tisha B’Av, ricorrenza della distruzione dei due templi ebraici di Gerusalemme, ha pregato apertamente sulla Spianata delle Moschee (Monte del Tempio) accompagnato da centinaia di pellegrini. Ben Gvir ha violato lo status quo consolidato tra Israele e Giordania, che amministra il sito attraverso il ”Waqf islamico” della Città Santa. Mentre Netanyahu si affrettava ad assicurare che nulla cambierà nella Città Vecchia, sui media è apparsa un’altra contestazione. Alla protesta degli ex generali si è aggiunta quella di un migliaio tra artisti e scrittori israeliani: «Come uomini e donne di cultura e arte in Israele, ci troviamo, contro la nostra volontà e i nostri valori, complici della responsabilità dei terribili eventi nella Striscia di Gaza». Parole contro cui si è scagliato Idan Amedi, uno dei protagonisti della serie “Fauda”, gravemente ferito in azione nel gennaio 2024 mentre combatteva contro Hamas a Gaza come riservista. «Entrate in un tunnel per un momento. Combattete per un solo giorno come decine di migliaia di riservisti, e poi andate avanti, firmate le petizioni», ha reagito Amedi sui social media.Gaza non è l’unico territorio palestinese cerchiato sulle mappe degli estremisti israeliani. U gruppo di coloni ha dato fuoco a un edificio nel villaggio di Turmus Ayya, vicino a Ramallah, in Cisgiordania. Dai video condivisi si vede l casa bruciata e una scritta che spiega quasi tutto: «Vendetta».
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