L'ultima battaglia del comedian-eroe Zelensky: che fine farà?

Sfibrato e messo all’angolo dal bullismo di due maschi-alfa troppo simili tra loro (The Donald e Vladimir in questo s’intendono a meraviglia), il leader ucraino paga un pegno umiliante. Sarà la fine?
February 22, 2025
L'ultima battaglia del comedian-eroe Zelensky: che fine farà?
La character assassination che Donald Trump e i suoi volonterosi carnefici mediatici hanno riservato alla figura di Volodymr Zelensky non abbisogna di ulteriori commenti. La serqua di inesattezze storiche, torsioni biografiche, provocatorie allusioni ricorda da vicino la disinformacija russa (e prima ancora sovietica), che Trump fa sua con una rozzezza che ai nipoti di Gorkij e di Pasternak è tuttora sconosciuta. Il che non toglie che il tragitto politico – e in certa misura personale – del presidente Zelensky sia molto prossimo al capolinea. Sembrano lontani anni luce i tempi in cui il fantasioso comedian di origine ebraica e di lingua russa – già famoso in patria per aver interpretato il ruolo di un presidente popolare e populista nella seguitissima telenovela Sluha Narodu, ovvero il “Servitore del popolo” – a quarantun anni godeva di una fama ineguagliabile dopo aver sbaragliato nel 2019 il presidente uscente Petro Porošenko. Metà populista, metà giacobino, promotore di una crociata contro le corrotte élites oligarchiche, Zelensky piaceva e piacque soprattutto per lo spirito moralizzatore à la Saint Just. Ma ancora di più ne guadagnò nel momento in cui i carri armati russi oltrepassavano la frontiera diretti a Kiev per consumare l’Operazione Speciale indetta da Vladimir Putin. «Forse è l’ultima volta che mi vedete vivo», disse enfaticamente via zoom al vertice dell’Unione Europea il 25 febbraio di quell’anno fatale, rivelando l’altro volto del cabarettista, quello di un anti-eroe dalla fibra virile.
Una mutazione antropologica, quasi genetica, che da commediante dalla garrula risata che sarebbe piaciuta ad Aristofane si trasformava nell’azzeccatissima maschera da subcomandante zapatista, con la felpa verde e la barba malrasata. Un capolavoro mediatico che lo ha mantenuto alla ribalta mondiale fino a ieri a dispetto delle invettive del Cremlino e di Putin, che lo definiva «il capo della banda di drogati e di nazisti». «È stato il più grande piazzista vivente», lo ha elogiato con velenosa cortesia Donald Trump, alludendo alla immensa cornucopia di miliardi che l’alleanza occidentale ha investito nella difesa dell’Ucraina invasa dall’orso russo. Con inalterata perizia Zelensky compariva ad ogni summit mondiale reclamando (e quasi sempre ottenendo) aiuti in denaro e armamenti. Salvo poi, è notizia dei giorni scorsi, vedersi reclamare una contropartita da 500 miliardi in terre rare da parte di Trump, anche lui ex stella della Tv con il suo The Apprentice, e inguaribile uomo d’affari.
Ma mentre la guerra macinava nel mattatoio delle trincee la meglio gioventù ucraina, la popolarità di Zelensky resisteva, a dispetto di quell’inciucio fra propaganda e pensiero magico che riteneva inevitabile la vittoria di Kiev e degli amici della Nato sullo zar. Un traguardo palesemente irraggiungibile, come ogni essere umano assennato sapeva, ma che si era trasformato nell’indicibile verità, che nessuno o quasi aveva cuore e coraggio di proclamare. Sfibrato e messo all’angolo dal bullismo di due maschi-alfa troppo simili tra loro (The Donald e Vladimir in questo s’intendono a meraviglia), Zelensnky paga un pegno umiliante e insieme le conseguenze di una testardaggine forse non del tutto sua, durata tre anni. Troppi, con una marea di lutti e una generazione decapitata dagli orrori di una guerra che forse – dicasi: forse – si poteva evitare. O alla peggio abbreviare. Ma è davvero finito Zelensky? Prossimo all’esilio? Molti giurano di no. Il comedian che è in lui ha sicuramente altre carte da giocare.

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