Le voci dei beduini palestinesi che resistono ai coloni
Il villaggio di Al-Hatrura, in Cisgiordania, è a pochi passi dalla strada asfaltata israeliana: «I nostri bambini devono camminare nel deserto per evitare gli attacchi armati»

Quando una delle sue quattro figlie si avvicina alla strada asfaltata, Fatima la richiama immediatamente. Vuole che cammini solo sul deserto di Al-Hatrura, un villaggio di beduini Jahalin sulla rotta tra Gerusalemme e Gerico, perché la strada appartiene ai coloni che vivono a poche centinaia di metri dalle case palestinesi. «Sono pochi ma sono armati – spiega la donna, 34 anni, ad Avvenire –. Le telecamere israeliane sono accese a ogni ora del giorno e, se ci riprendono mentre camminiamo sulle loro strade, i coloni possono portarci in carcere, picchiarci o peggio».
Prima dello scoppio della guerra condotta da Israele a Gaza, dopo il massacro del 7 ottobre 2023, quelle strade non erano state costruite, i tralicci della corrente non erano ancora arrivati nel deserto e l’acqua non scorreva nelle tubature. «Ora i coloni hanno tutto – continua Fatima –. Noi beduini restiamo qua, ma abbiamo paura. Ogni mattina accompagno mia figlia nel tratto che deve percorrere a piedi nel deserto per andare a scuola, perché ad attenderla ci sono sempre coloni armati, anche bambini, che la insultano e la minacciano».

Il verde degli alberi e il grigio dell’asfalto distinguono gli insediamenti israeliani da quelli dei beduini che, in quella parte di Cisgiordania, vivono senza strade e con pochissima acqua da anni. Nel 2018 la Corte suprema di Israele ordinò, con la motivazione ufficiale di abusivismo, la demolizione del vicino villaggio di Khan el-Ahmar e della “scuola di gomme” che viveva al suo interno, costruita dall’Ong italiana Vento di Terra per garantire l’istruzione primaria. Da allora gli insediamenti dei coloni si sono moltiplicati e, di pari passo, gli ordini di evacuazione ai villaggi palestinesi.
Oggi, una sola organizzazione di volontari riesce a raggiungere Al-Hatrura: «Fino allo scoppio della guerra – confessa Sara (nome di fantasia) – parlavamo apertamente delle nostre attività ma ora non ce lo possiamo più permettere, altrimenti cacciano anche noi da questo deserto». I volontari garantiscono l’istruzione elementare a centinaia di bambini beduini tra Gerusalemme e Gerico, aiutandoli con gli spostamenti verso le scuole e formando docenti tra le donne dei villaggi. «La scuola sarebbe aperta solo due giorni alla settimana – spiega la volontaria – e spesso, anche in quei giorni, le strade sono chiuse per i beduini. Se invece le madri riescono a insegnare i rudimenti tra le mura di casa, ai bambini è garantita almeno l’istruzione primaria».

Al momento, però, il primo affanno delle decine di palestinesi che vivono nel villaggio di Al-Hatrura resta la ricerca di un impiego. «Qua hanno sempre lavorato solo i maschi – commenta Sara – ma ora la pastorizia è in crisi per l’assenza di acqua, e trovare un lavoro è diventato pressoché impossibile». Negli scorsi anni molti uomini palestinesi, per assicurarsi una paga, sono stati costretti a lavorare nelle colonie israeliane ma, a partire dal 7 ottobre 2023, la maggior parte dei beduini non sono più autorizzati a entrare nei territori a controllo israeliano. «Molti tentano di scavalcare i muri di nascosto – aggiunge la volontaria – ma se vengono intercettati finiscono in carcere». Così, i volontari oggi si concentrano sulla manodopera delle donne beduine, insegnando tecniche di pronto soccorso e di tessitura. «Io sono diventata un’infermiera e ora lavoro con il ministero della Salute palestinese – racconta Fatima –. Sono stata anche la prima donna beduina a ottenere la patente di guida, facendo pratica di nascosto a mio marito (ride, ndr). Molte altre donne del villaggio vogliono studiare e lavorare come me, ma io voglio essere soprattutto un riferimento per le mie figlie. Anche se non so cosa sarà di noi, domani».

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