Le nostre chat su WhatsApp con chi sta fuggendo da Gaza City
Donne e bambini caricano i loro effetti personali sui camion e condividono le spese. Poi si mettono in marcia verso un rifugio: «Abbiamo pagato mille euro per una tenda»

«Il posto in cui avevamo trovato rifugio mio figlio e io a Gaza City è stato bombardato dopo che lo abbiamo lasciato», scrive subito all’avvio dello scambio di messaggi Ikhlas A., giovane madre evacuata con il suo bambino e la sorella. Sente di essere sfuggita per miracolo alla morte, e non è la prima volta. Si è unita ad altre donne rimaste senza uomini in famiglia e si è messa in viaggio verso Khan Yunis, dove qualcuno le ha affittato un pezzo di terra per 300 dollari al mese. «Per un furgone che trasportasse i miei averi mi sono accordata con tre vicine per condividerlo e ridurre i costi» spiega ad Avvenire. «Per risparmiare, però, non abbiamo avuto un posto dove sederci, quindi abbiamo camminato per 30 chilometri, oltre 24 ore, io con mio figlio in braccio. Mi sono ustionata per il sole e ho avuto dolore ai piedi». Ha dormito una notte per la strada, «sfortunatamente, senza acqua da bere né cibo da mangiare». Ora è arrivata nel nuovo rifugio e attorno a lei conta quarantacinque tende. Chiediamo se sia vero che Hamas stia ostacolando chi vuole lasciare Gaza City. «Sì, erano per le strade cercando di far tornare indietro le persone. Hamas è ancora presente e pienamente attivo, ma la gente si è rifiutata e ha continuato con le evacuazioni» risponde (unica, tra gli intervistati che seguono, a confermare l’informazione).
«Trasferirmi a sud di nuovo è la cosa peggiore che potesse capitarmi. Dovremmo lasciare Gaza City domani, non sono sicura», ci ha scritto qualche giorno fa su Whatsapp la ventiseienne Reem H., demoralizzata. Prima dell’ultimo ordine di evacuazione, per cinque volte era già stata costretta a fare le valigie. «Siamo in viaggio», ha aggiunto il giorno successivo, poi la conferma dell’arrivo al campo di al-Nuseirat. «Questa guerra ha distrutto la giovinezza nelle nostre anime e ci ha rubato la vita e la gioia. La situazione è diventata inimmaginabile, soprattutto per chi una volta aveva tutto, ha lottato per tutto e ha finito per perdere tutto». Ha viaggiato con la famiglia a bordo di un furgoncino con pacchi e bagagli. «Il costo era di 3.000 shekel in contanti, 4.500 se pagati tramite conto bancario. Sono più di 1.300 dollari».
Nell’ultimo report di Ocha (Nazioni Unite) si dà conferma delle variazioni dei prezzi per metodo di pagamento, con quello digitale è tra il 17 e il 66% più caro rispetto al contante. «Ora spendiamo 250 dollari per il terreno dove siamo, senza alcun servizio» prosegue Reem. «Oggi abbiamo comprato qualche gallone d'acqua e una tenda per 1.000 dollari, ma una non basta».
Chi è partito cerca di adattarsi al nuovo contesto, ma chi è rimasto indietro è ancora disperatamente occupato a capire come andare via. A un residente, che non vuole essere citato per nome, chiediamo chi stia lucrando su tende e terreni: «Sembra siano commercianti locali che deliberatamente aumentano i prezzi. Alcuni credono che Israele li stia supportando, altri pensano ad Hamas, o a monopoli individuali. La vita qui è dura in modi che difficilmente si possono immaginare», conclude. «Io sono ancora a Gaza City, nel quartiere di al-Rimal, abbiamo il camion per l’evacuazione prenotato tra due giorni» scrive Mira A., studentessa di ingegneria della al-Azhar University, ateneo ora in rovina.
«Sentiamo bombardamenti pesanti. Siamo usciti di casa sotto choc dopo aver ricevuto una chiamata dall'intelligence israeliana che annunciava l’attacco contro una delle torri nel quartiere. La casa dei vicini è stata distrutta». Anche Hanan A., una donna di 45 anni, è rimasta in città. «In partenza? Non ancora. Stiamo vivendo gli orrori della morte, dei bombardamenti e della distruzione. Non possiamo lasciare Gaza City per l'affitto elevato dei terreni su cui piantare le tende» ha raccontato poche ore prima di venire tagliata fuori dalla connessione Internet, come tutti in città, rimanendo senza possibilità di ricevere denaro dai parenti in Cisgiordania. «Siamo una famiglia numerosa – aveva concluso – ci vogliono troppi soldi. Qui è come morire lentamente, di una morte che ci aspetta».
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