L'America si chiede: quale sarà il prossimo strappo?
Caos legale e democrazia a rischio. Le conseguenze della sentenza choc della Corte Suprema sullo ius soli.

E adesso? Il “day after” della sentenza con cui la Corte Suprema degli Stati Uniti ha richiamato all’ordine i giudici distrettuali anti-trumpiani ricordando loro di «non aver l’autorità» per emettere ingiunzioni universali contro gli ordini esecutivi della Casa Bianca è un misto di caos e incredulità. Mentre l’America si interroga sui motivi che hanno reso possibile quello che è stato definito uno “strappo costituzionale”, molti si chiedono su quale fronte si consumerà il prossimo.
Il pronunciamento di venerdì era maturato nell’ambito dei ricorsi contro il “no” del presidente Donald Trump allo ius soli, tassello fondamentale della sua campagna contro gli immigrati. Ma, così ha sottolineato Efrén Olivares, vicepresidente del National Immigration Law Center in un’intervista al Guardian, «avrà effetto su qualsiasi causa che contesti una politica nazionale, dalle iniziative ambientali al diritto di voto». Concetto espresso anche dalla giudice Sonia Sotomayor, membro progressista della Corte Suprema, quando venerdì ha letto in aula la sua opinione dissenziente: «Oggi la minaccia riguarda la cittadinanza per nascita», ha tuonato, «domani, potrebbe impedire a persone di certe fedi di riunirsi per pregare».
Dal punto di vista puramente legale, lo scenario che si profila all’orizzonte è di caos totale. Gli “editti” presidenziali potranno continuare a essere contestatati in punta di diritto dai tribunali federali ma le loro sentenze, così hanno sollecitato i togati di Washington, saranno valide solo a livello statale. Gli addetti ai lavori concordano sul fatto che il ricorso alle «ingiunzioni universali» era aumentato drasticamente negli ultimi anni, creando difficoltà a presidenti di entrambi i partiti. Ma segnalano che la decisione sullo ius soli rischia di creare nel Paese un mosaico di sentenze diverse a seconda dello Stato in cui si vive. Il riconoscimento della cittadinanza alla nascita, per fare un esempio, potrebbe continuare a essere garantito in alcuni Stati (a maggioranza democratica) ma non in altri.
Gli americani si chiedono anche come sia possibile che si sia arrivati a una situazione simile. Un editoriale del New York Times ha ripercorso la storia del potere presidenziale spiegando che «ha sempre attraversato fasi alterne», dall’“imperialismo” degli anni della Guerra fredda alla presidenza “ingoiata” da magistratura e Congresso dopo lo scandalo Watergate, con forti implicazioni per il funzionamento del sistema di pesi e contrappesi che caratterizza la democrazia a stelle e strisce. «Trump, oggi, sta cercando di eliminare i controlli sulla propria autorità – ha sintetizzato Charlie Savage – e di sradicare le sacche di indipendenza all’interno del governo».
Possibile, questa è una delle domande ricorrenti, che nel Grand Old Party non ci sia nessuno capace di un sussulto di indignazione? La scorsa settimana, quando il tycoon ha bombardato i siti nucleari iraniani senza previa autorizzazione di deputati e senatori, un solo repubblicano – Thomas Massie, rappresentante del Kentucky – ha denunciato l’azione come incostituzionale perchè non motivata da rischio imminente. Trump, infuriato, ha promesso di porre fine alla sua carriera politica contrapponendogli un avversario alle primarie. La senatrice conservatrice Lisa Murkowski, dell’Alaska, avrebbe recentemente ammesso ai suoi elettori: «Abbiamo tutti paura di Trump».
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