La “pax americana” in Congo è una risorsa (mineraria)
Alla Casa Bianca Trump fa firmare l'accordo che dovrebbe fermare la guerra che ha insanguinato l'Est dopo l'invasione dei filo-ruandesi. Basterà?

Alla fine, dopo aver detto che lo merita per “tutte le paci che ha già fatto”, The Donald ha trovato anche un altro sponsor: il presidente del Congo, Félix Tshisekedi, lo ha candidato per il Nobel per la Pace dopo l'accordo tra il suo Paese e il Ruanda firmato venerdì sera a Washington con la mediazione degli Stati Uniti.
Così dopo settimane di annunci, decine di pre-squilli di tromba e tamburi che rullano, l’accordo per porre fine ai combattimenti che hanno causato “migliaia di vittime”, anche se una quantificazione reale non ci sarà mai, è nero su bianco. I due Paesi che si sono impegnati a ritirare il sostegno alla guerriglia e Donald Trump ha annunciato che l'accordo permette agli Stati Uniti di assicurarsi le ricchezze minerarie della regione. Per questo la "pax americana" è già stata ribattezzata la “pace dei minerali, delle terre rare e dei metalli tecnologici” che saranno estratti e commercializzati da industrie tutte “America First”.
«Oggi la violenza e la distruzione giungono al termine e l'intera regione inizia un nuovo capitolo di speranza e opportunità» ha detto il presidente americano accogliendo i ministri degli Esteri dei due Paesi nella Oval Room alla Casa Bianca. «È una giornata meravigliosa». Pochi minuti dopo è però ricaduto nel suo sport preferito: il passaggio, senza soluzione di continuità, dall’”opportunità” all’inopportuno. Dimenticando quanto successo nel suo primo mandato, e si è di nuovo rivolto a una giornalista con elogi un po' inopportuni. «Sei bellissima», ha detto il presidente nello Studio Ovale ad Hariana Veras, una reporter dell'Angola, durante la firma del trattato di pace tra Congo e Ruanda. «Non potrei dirlo perché mi rovino la carriera politica», ha aggiunto scherzando il presidente, Che comunque non ha ceduto e ha ribadito: «Sei bellissima dentro e fuori». Nel 2017, in un evento simile, Trump stava parlando al telefono con il neoeletto primo ministro irlandese, Leo Varadkar alla presenza dei giornalisti nello Studio Ovale quando ha chiamato la giornalista Caitriona Perry. «Ha un bel sorriso, quindi sono sicura che ti tratterà bene», aveva detto allora il presidente tra l'imbarazzo generale.
L'accordo, comunque, arriva dopo che l'M23, una forza ribelle legata al Ruanda dell’eterno presidente Paul Kagame, ha attraversato a gennaio di quest'anno la parte orientale della Repubblica democratica del Congo, ricca di minerali, conquistando un vasto territorio, tra cui la città chiave di Goma. L'accordo, negoziato tramite il Qatar prima dell'insediamento di Trump, non affronta esplicitamente i vantaggi dell'M23 nell'area devastata da decenni di guerra, ma chiede al Ruanda di porre fine alle "misure difensive" adottate.
Il Ruanda (dall'insediamento di Trump tornato nell'orbita statunitense, senza essersene peraltro mai allontanato troppo) ha negato di sostenere direttamente l'M23, ma ha chiesto lo scioglimento di un altro gruppo armato, le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (Fdlr), fondato da gruppi di etnia hutu legati ai massacri di tutsi nel genocidio ruandese del 1994. Casualmente da tempo i rivali dei tutsi dell’M23. Ma ricondurre, per l’ennesima volta, qualcosa di più prettamente "commerciale" che filantropico, allo scontro etnico sarebbe fuorviante. La pace, a condizioni (vantaggiose) è stata comunque siglata. Quanto possa durare è invece un altro discorso.
L'accordo prevede la "neutralizzazione" delle Fdlr, e il ministro degli Esteri ruandese Olivier Nduhungirehe ha affermato che la «fine irreversibile e verificabile del sostegno statale» ai militanti hutu dovrebbe essere la «priorità assoluta». Il processo sarebbe "accompagnato dalla revoca delle misure difensive del Ruanda", ha dichiarato Nduhungirehe durante un'altra cerimonia di firma al Dipartimento di Stato. Ha però aggiunto: "Dobbiamo riconoscere che c'è molta incertezza nella nostra regione, e non solo, perché' molti accordi precedenti non sono stati attuati". Cioè la mezza dozzina di accordi di pace firmati in cinque anni nel Continente che restano disattesi.
La sua ministra congolese, Therese Kayikwamba Wagner, ha fatto invece appello al rispetto della sovranità statale. Questo accordo, ha detto, «offre una rara opportunità di voltare pagina, non solo a parole, ma con un cambiamento concreto sul campo. Alcune ferite guariranno, ma non scompariranno mai del tutto». L'accordo istituisce anche un organismo congiunto di coordinamento per la sicurezza per monitorare i progressi e prevede vagamente un "quadro di integrazione economica regionale" entro tre mesi.
Trump ha naturalmente decantato il lavoro diplomatico che ha portato all'accordo e ha aperto l'evento alla Casa Bianca citando le parole di un giornalista secondo il quale «meriterebbe il Nobel per la Pace». Parlando con i giornalisti il presidente ha solo sottolineato che, raggiungendo l'accordo, gli Stati Uniti saranno in grado di ottenere «molti diritti minerari dal Congo». Lo ha detto con malcelato orgoglio, decantandolo come bene più prezioso: con la pace che, all’interno dell’accordo, appare così dalle sue parole quasi secondaria. La Repubblica democratica del Congo è, si sa, un autentico emporio delle “commodities” che l’industria tecnologica ricerca: possiede enormi riserve minerarie, tra cui litio e cobalto, vitali per i veicoli elettrici e altre tecnologie avanzate, essenziali per garantire alle industrie statunitensi competitività' con quelle cinesi. Che, casualmente, fino a prima dell’invasione dei ribelli “tagliagole” dell’M23, controllavano gli impianti minerari nel Nord e Sud Kivu, la parte orientale del Congo ora alla ricerca della pace.
Trump ha ammesso di non avere «familiarità con il conflitto» e ha fatto pesantemente confusione con gli orrori del genocidio in Ruanda del 1994. Ma come inevitabile, visti i presupposti “disinteressati” del pacificatore di Pennsylvania Avenue, l'accordo stesso non ha ricevuto consensi unanimi: il segretario generale delle Nazioni Unite, Guterres, lo ha definito «un passo significativo verso la de-escalation, la pace e la stabilità» nella regione dei Grandi Laghi e Germania e Francia hanno accolto con favore l'«ottima notizia», ma Denis Mukwege, ginecologo che ha condiviso il Premio Nobel per la Pace 2018 per il suo lavoro volto a porre fine agli stupri di guerra nella Repubblica democratica del Congo, ha espresso preoccupazione per l'accordo, affermando che di fatto avvantaggia il Ruanda e gli Stati Uniti. Si tratta, ha detto, «di una ricompensa per l'aggressione, la legittimazione del saccheggio delle risorse naturali congolesi e l'obbligo ad alienare il proprio patrimonio nazionale sacrificando la giustizia per garantire una pace precaria e fragile».
Physicians for Human Rights, che ha lavorato nella Repubblica democratica del Congo, ha accolto con favore la de-escalation, ma ha affermato che l'accordo presentava «gravi omissioni», tra cui la responsabilità per le violazioni dei diritti. La prova di tutto quanto promesso e firmato si vedrà comunque si potrà vedere o non vedere nel giro di pochi giorno: quando le forze di invasione del movimento Marzo 2023 faranno o no i bagagli.
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