La Corte Suprema spinge ancora Trump, mano libera sui licenziamenti

Rischiano di rimanere senza lavoro decine di migliaia di colletti bianchi, oltre ai 260 mila già liquidati.
July 9, 2025
La Corte Suprema spinge ancora Trump, mano libera sui licenziamenti
Ansa | La Corte Suprema degli Stati Uniti
Ci sarà pure un giudice a Washington? L’antologia delle sentenze emesse negli ultimi mesi dalla Corte Suprema degli Stati Uniti evoca una risposta incerta: «Probabilmente». Questo è l’avverbio che contraddistingue molti degli ultimi pronunciamenti dei magistrati al vertice del sistema giudiziario americano. Un inciso possibilista che quasi “addolcisce” il tono ormai univoco delle sue decisioni: Trump ha ragione.
«Questa Corte non solo evita sistematicamente di discutere le conseguenze dei propri verdetti – è l’osservazione di Sherrilyn Ifill, docente di diritto alla Howard University – ma tenta anche di convincerci che non avranno l’impatto che in realtà già ci aspettiamo».
L’ultima ordinanza di questo tenore pubblicata dal tribunale più alto in grado degli Stati Uniti riguarda uno dei cavalli di battaglia dell’amministrazione repubblicana:i licenziamenti di massa disposti a febbraio per mezzo di Elon Musk, l’allora numero uno del Dipartimento per l’Efficienza governativa, per snellire macchina federale di cui è motore una rete di 2,3 milioni dipendenti.
Il piano, lo ricordiamo, fu sospeso da un giudice distrettuale della California, Susan Illston, che ha accolto un’istanza dei sindacati. Il benservito ricevuto dagli impiegati e il conseguente alleggerimento delle agenzie governative era illegittimo, questa era la ratio dello stop, perché non varato dal Congresso che le ha create e finanziate per via legislativa. Argomenti che la Corte Suprema, a maggioranza conservatrice, ha respinto senza neppure una motivazione propriamente legale limitandosi a sottolineare, così chiarisce il parere pubblicato martedì, che i licenziamenti sono legittimi anche senza il via libera del Parlamento. Trump può quindi completare il repulisti (si stima che rimarranno senza lavoro decine di migliaia di colletti bianchi, oltre ai 260 mila già liquidati) e riorganizzare le agenzie.
Sono 15 i ricorsi di urgenza presentati fino ad oggi da Trump alla Corte Suprema: 12 sono stati accolti. Tra questi, solo per citare alcuni casi, c'è il via libera alle deportazioni di migranti in Sud Sudan e Libia, all’esclusione dei trans dalle forze armate, al congelamento dei fondi per i programmi di inclusione e diversità a scuola. La scorsa settimana, la Corte ha “offerto” al tycoon una sentenza a bacchettare i tribunali distrettuali che bloccano le manovre della Casa Bianca a suon di «ingiunzioni universali», valide a livello locale e nazionale.
Tra i (pochi) “no” opposti al leader del Grand Old Party c’è quello che ha bocciato la richiesta di mantenere il congelamento di 2 miliardi di dollari in aiuti esteri e quella di archiviazione del caso relativo a Kilmar Abrego Garcia, un migrante del Maryland, presunto membro di una gang, deportato a El Salvador.
La Casa Bianca non ha perso l’occasione per celebrare il pronunciamento con un urrà: « È una vittoria definitiva per il presidente e la sua amministrazione». Dichiarazione non proprio vera considerato che ulteriori ricorsi potrebbero, per lo meno, ritardare l’operatività dei tagli. Piccata, invece, la reazione dell’opposizione. «La Corte ha dimostrato, sentenza dopo sentenza, che canterà e ballerà sempre al ritmo del trumpismo», ha tuonato Antjuan Seawright, stratega del partito democratico. Non è questa l’unica stilettata del genere. Né la prima. L’accusa di una giustizia sottomessa al presidente aveva costretto il giudice capo John Roberts, tre giorni fa, a una rara uscita pubblica: «Sono semplicemente senza senso – ha puntualizzato durante un conferenza – e molto pericolose». A Washington , questo il messaggio, un giudice ancora c’è.

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