«Il popolo israeliano non si fida più dello Stato». L'ultimo sondaggio choc

La prolungata vicenda degli ostaggi catturati da Hamas e mai liberati sta prostrando l'opinione pubblica: il 76% si dice turbato e ansioso per il proprio futuro. «È un problema nazionale»
August 3, 2025
«Il popolo israeliano non si fida più dello Stato». L'ultimo sondaggio choc
Ansa | Le proteste degli israeliani che dal 7 ottobre 2023 scendono in piazza per la liberazione degli ostaggi catturati da Hamas
Le drammatiche immagini di Evyatar David – uno dei 20 ostaggi ancora vivi a Gaza, costretto da Hamas a scavarsi la propria tomba, nel tunnel in cui è prigioniero da ormai 670 giorni – hanno inevitabilmente riportato non solo i familiari degli ostaggi, ma l’intero Paese nel tunnel della depressione.
«Il 76% degli israeliani è turbato, quotidianamente, dal pensiero costante sul destino degli ostaggi – rivela uno studio del Lior Tsfaty Center for Suicide and Mental Pain Studies presso il Ruppin Academic Center –. Questa preoccupazione si riflette in gravi sintomi psicologici: depressione, ansia, disturbi post-traumatici e persino i casi di suicidio, che non fanno che aumentare, non solo tra i soldati (a luglio se ne sono uccisi sette, ndr)» spiega lo psicologo clinico Yoav Groweiss, autore della ricerca, noto attivista delle proteste anti-governo sin dalle manifestazioni contro la riforma giudiziaria.
Lo psicologo e il suo team avevano avviato la ricerca nell’agosto 2023 per analizzare gli effetti psicologici della riforma e delle proteste che aveva scatenato, ma lo studio ha assunto un’urgenza ancora maggiore dopo l’attacco del 7 ottobre: «Gli indicatori di disagio erano già alti ad agosto, ma dopo l’efferato attacco di Hamas c’è stato un aumento drammatico – sottolinea Groweiss –. Un mese dopo l’inizio della guerra a Gaza, un terzo della popolazione mostrava sintomi da stress post-traumatico e il 45% del campione segni di ansia e depressione. Nell’ultima osservazione, condotta tra aprile e maggio, quasi la metà degli israeliani (il 48,7%) presenta sintomi di disturbo da lutto prolungato, pur senza avere legami diretti con gli ostaggi. È una scoperta allarmante: molti soffrono di insonnia, difficoltà di concentrazione e soprattutto perdita di speranza».
Secondo il ricercatore, la crisi degli ostaggi rappresenta una frattura collettiva che mina la fiducia nello Stato e nei suoi leader: «Il governo non comprende che non si tratta solo delle famiglie che si sentono abbandonate, ma di un’intera nazione scossa nel profondo. Si è creato ormai un danno, diffuso, al senso di sicurezza, appartenenza, fiducia e responsabilità reciproca, che avrà conseguenze anche di lunga durata – avverte Groweiss – poiché questa frattura compromette anche la disponibilità a impegnarsi come cittadini, servire nelle istituzioni, nell’esercito e, soprattutto, nel crescere i propri figli in Israele».
Per il ricercatore, qualsiasi leadership che voglia cercare di prendersi in carico e guarire il trauma nazionale deve partire da questa presa di coscienza: «Serve ripristinare la fiducia pubblica. Solo leader capaci di assumersi responsabilità, agire con trasparenza nella gestione della crisi e impegnarsi realmente per una soluzione potranno ricostruire il patto tra Stato e cittadini».
Lo psicologo aggiunge che riconosce questa ferita profonda negli occhi dei manifestanti che ogni giorno si radunano davanti al ministero della Difesa a Tel Aviv e in Piazza degli Ostaggi. Lo scorso sabato, quest’ultima era più colma che mai, sia per abbracciare la famiglia di Evyatar, sia per abbracciarsi reciprocamente. Stringersi l’uno all’altro: anche così si cerca di lenire le sofferenze di un Paese che ormai fatica a reggersi in piedi.

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