Il Papa a Netanyahu (che gli ha telefonato): «Si metta fine alla guerra»

Al premier israeliano, che lo ha chiamato, il Papa ha chiesto di proteggere «tutte le persone». Poi il pontefice ha sentito Pizzaballa, che si è recato a Gaza. Parolin: «Ora i fatti»
July 17, 2025
Il Papa a Netanyahu (che gli ha telefonato): «Si metta fine alla guerra»
. | Il patriarca latino Pierbattista Pizzaballa e quello greco-ortodosso Theophilos III alla guida della piccola delegazione ecclesiale che stamattina s'è recata alla Sacra Famiglia di Gaza
La delegazione aveva già percorso i meno di ottanta chilometri che dividono Gerusalemme da Gaza. Era ormai giunta al confine-baratro fra i due Paesi intrecciati eppure, al contempo, spezzati. Mai, forse, come in questo tempo. Guidato dal patriarca dei latini, Pierbattista Pizzaballa, e da quello greco ortodosso Theophilos III, il piccolo gruppo stava per oltrepassare il valico e incamminarsi verso la parrocchia della Sacra Famiglia il giorno dopo l’aggressione, quando la telefonata l’ha raggiunto. A chiamare, papa Leone XIV, profondamente addolorato per «l’attacco ingiustificabile» di giovedì all’unica chiesa cattolica dell’enclave che, da ventidue mesi, è casa di 541 profughi. Il proiettile, esploso da un tank israeliano, ha centrato il tetto: nel crollo sono stati uccisi tre rifugiati, dieci sono stati feriti, tre in modo grave. Da qui l’urgenza dei rappresentanti delle Chiese di Gerusalemme di farsi presenti, portando i propri corpi nel quartiere Zeytun di Gaza City, dove si trova il complesso. Lo avrebbero fatto fin da giovedì pomeriggio: è arduo, però, ottenere il permesso delle autorità di Tel Aviv che hanno blindato la Striscia.
Ce l’hanno fatta ieri e sono arrivati nel primo mattino, appena possibile con centinaia di tonnellate di cibo, generi di conforto e kit di emergenza per i gazawi dentro e fuori la parrocchia. «Cerchiamo di arrivare a quante più persone possibile», ha precisato il Patriarcato. Un’urgenza condivisa dal Pontefice che, non potendo raggiungere fisicamente l’enclave, ha voluto comunque esprimere vicinanza, affetto, preghiera, supporto nella telefonata con il cardinale Pizzaballa. Soprattutto Leone ha ribadito l’intenzione di «fare tutto il possibile per mettere fine a questa inutile strage di innocenti», come ha sottolineato il direttore della Sala stampa vaticana, Matteo Bruni. «Strage». Termine che il Papa ha ripetuto più volte, ha aggiunto il patriarca latino in un’intervista a Vatican News, insieme alla necessità di interrompere quanto prima il susseguirsi di vittime. Quelle fatte dal proiettile esploso da un tank israeliano nell’unica chiesa cattolica della Striscia si aggiungono alle tante «di questo tempo di dolore in Terra Santa e di tutto il Medio Oriente», ha dichiarato Bruni.
Le stesse parole, Leone le ha ripetute nella lunga conversazione – circa un’ora, secondo fonti israeliane – con Benjamin Netanyahu che gli ha telefonato a Castelgandolfo. Il premier israeliano – si legge nel comunicato diffuso dal suo ufficio – ha voluto manifestare «rammarico per il tragico incidente in cui munizioni vaganti hanno accidentalmente colpito la chiesa» e porgere le «più sentite condoglianze di Israele alle famiglie dei colpiti». Una telefonata definita «opportuna» e «positiva» dal segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, nonostante «una situazione che è disperata». Il cardinale Parolin ha chiesto a Israele di procedere con l'inchiesta promessa e «dopo tante parole si dia spazio ai fatti». Il Papa ha colto l’occasione per esprimere la propria preoccupazione per la «drammatica situazione umanitaria» della popolazione della Striscia. E ha rivolto un appello vibrante affinché cessi il fuoco e finisca la guerra «il cui prezzo straziante è pagato in modo particolare da bambini, anziani e persone malate». Si proteggano «i luoghi di culto e soprattutto i fedeli e tutte le persone». Gli avverbi impiegati dal Pontefice rivelano, con sintetica efficacia, lo sgomento per un conflitto vorace che dilania, senza sosta, case, scuole, ospedali, moschee, chiese. Ogni cosa. E «soprattutto» ogni essere umano, «in particolare» i più fragili: siano essi profughi ospitati in una parrocchia o donne in fila per il pane. Il passaggio di testimone e il cambio di stile tra Jorge Mario Bergoglio e Robert Prevost non hanno, dunque, mutato la sollecitudine autentica della Santa Sede per Gaza e per le “troppe Gaza” che sanguinano nel pianeta.
Netanyahu ha replicato che i negoziati procedono e l’accordo si ha vicina. Anche se – questa la versione del premier – gli sforzi israeliani finora non sono stati ricambiati da Hamas. La prospettiva dell’organizzazione è opposta. Secondo il portavoce del braccio armato del movimento, le Brigate Ezzedin al-Qassam, Abu Obeida, il gruppo ha offerto il rilascio di tutti gli ostaggi in cambio della fine definitiva dell’offensiva. «Se non raggiungeremo un’intesa per il cessate il fuoco in questa tornata, non accetteremo ulteriori colloqui», ha tuonato. In ogni caso, fonti vicine ai negoziati, concordano sul fatto che, dopo timidi passi avanti due giorni fa, le trattative sono «tese e piene di ostacoli». A complicarle lo spettro del “trasferimento” dei civili dalla Striscia. Un’idea più volte evocata da Usa e Israele, seppure in modo ambiguo.
Il capo del Mossad, David Barnea, è appena stato a Washington – sostengono fonti a conoscenza del dossier – per incontrare l’inviato per il Medio Oriente, Steve Witkoff e chiedere l’aiuto dell’Amministrazione nel convincere alcuni Paesi – si parla di Etiopia, Indonesia e Libia – ad accogliere i gazawi. L’ipotesi è fermamente rifiutata da Hamas e dai Paesi arabi, oltre che da gran parte della comunità internazionale. Resta da comprendere quale sarà, alla fine, l’orientamento del tycoon. Nel frattempo, a Gaza i combattimenti vanno avanti. Proprio a Zeytun, a qualche centinaio di metri dalla Sacra Famiglia, sono risuonati i colpi sinistri dei mortai. In tutta la Striscia, secondo le autorità locali, controllate da Hamas, altre 25 persone sono state uccise. L’inutile strage non si ferma.

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