Il Giappone vuole sfidare il tabù della bomba atomica
di Luca Miele
La premier Sanae Takaichi pronta a rivedere i principi cardine sul nucleare. Ma la proliferazione delle armi non garantisce più sicurezza

Nel bel mezzo della ennesima crisi (di nervi) con la Cina, con le relazioni tra i due Paesi sempre più tormentate dal dossier Taiwan - e con Pechino convoca l'ambasciatore giapponese a Pechino Kenji Kanasugi -, arriva un’altra “bomba” sganciata dalla premier giapponese Sanae Takaichi. La “Lady di ferro” in salsa nipponica, nel bel mezzo di una interrogazione parlamentare della commissione di Bilancio alla Camera bassa, ha dichiarato di non potersi pronunciare sul mantenimento dei "tre principi fondanti sul nucleare": quelli di "non detenere", "non fabbricare" e "non consentire l'introduzione di armi atomiche nel Paese". "Al momento l'esecutivo mantiene tali principi come orientamento politico", ha detto Takaichi aggiungendo però di non essere "ancora nella fase in cui si possa confermare il loro status futuro". Tutto questo mentre il governo giapponese si appresta a rivedere la Strategia di sicurezza nazionale entro il 2026.
Takaichi sembra così voler sfidare – anche sull’onda sull’accelerazione impressa (almeno a parole) dal presidente americano Donald Trump che ha ordinato al Pentagono di riprendere i test atomici - uno dei tabù sul quale si è edificato il Giappone contemporaneo, l’unico Paese ad avere subito un doppio attacco atomico: il bando delle armi nucleari.
Un Giappone insomma sempre più revisionista (e aggressivo) che sembra voler abbandonare uno dei cardini della sua storia recente: il pacifismo, condensato nell’articolo 9 della sua Costituzione, che vieta la guerra come strumento politico, “rendendo il Giappone (almeno formalmente) un Paese privo di un esercito offensivo tradizionale”. Uno scardinamento che ha avuto nell'ex primo ministro Shinzo Abe uno dei convinti assertori con la teoria (e la pratica) del "pacifismo proattivo", quello stesso Abe che, non a caso, è stato il “mentore” dell’attuale premer giapponese.
Dopo anni di pressioni statunitensi per la rimilitarizzazione, il Giappone punta ad assumere un ruolo di leadership regionale. Un’ascesa in chiave anticinese, alimentata da una spesa militare sempre più ingente. Qui si inserisce il dossier nucleare. Secondo quanto riporta il Japan Times, “il Giappone dispone attualmente di una riserva di 16.000 chilogrammi di plutonio utilizzabile per armi nucleari, sufficienti per fabbricare più di 3.000 armi nucleari. Possiede poi un lanciatore spaziale mobile a combustibile solido (il razzo H3), in grado di lanciare oltre 1.200 chilogrammi in orbita terrestre bassa, più che sufficienti per sganciare una testata nucleare. Dispone inoltre di tre centri di ricerca avanzati sulla fusione nucleare, che possono aiutarlo a sviluppare dispositivi a fissione potenziata e vere e proprie armi termonucleari. Una forza nucleare giapponese minima potrebbe costare appena 6 miliardi di dollari. Non ci vorrebbe molto tempo. Alcuni stimano meno di un anno”.
Il possesso di armi atomiche garantirebbe più sicurezza al Paese? A dubitarne è anche la stampa giapponese. Secondo il Japan Times, “il passaggio del Giappone al nucleare fungerà inevitabilmente da innesco per la proliferazione”. “L'acquisizione di armi nucleari – insiste il quotidiano - garantisce solo due cose: rendere il Giappone un obiettivo militare molto più urgente per Cina, Russia e Corea del Nord e indebolire le relazioni con gli Stati Uniti, alleato essenziale del Giappone”.
Come sottolineano gli analisti, che la Corea del Sud scalpita. Seul e Washington hanno finalizzato l'accordo per la costruzione di sottomarini a propulsione nucleare. Nell’ambito dell’accordo da 350 miliardi di dollari, Seul si è anche impegnata ad acquistare equipaggiamento militare statunitense per un valore di 25 miliardi di dollari e prevede di "fornire un supporto completo alle Forze Armate statunitensi in Corea per un importo pari a 33 miliardi di dollari".
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