Il Cremlino si è dato 10 anni per trasformare gli ucraini in "veri russi"

di Nello Scavo, inviato a Snigurivka
Anche nei giorni della grande trattativa per un possibile cessate il fuoco con Kiev, Putin persevera nella sua strategia di "russificazione" delle terre occupate. Dalle dirette tv sui civili ucraini accusati di collaborazionismo con Zelensky alla creazione di un'identità «omogenea», ecco le linee guida dell'esperimento politico-culturale voluto dallo zar
December 3, 2025
Il Cremlino si è dato 10 anni per trasformare gli ucraini in "veri russi"
Manifesti di propaganda russa nelle terre occupate
Mentre in mimetica annuncia la presa di Pokrovsk, Putin si dà dieci anni per trasformare gli ucraini del Donbass in “veri russi”. Lo zar ha firmato la nuova “Strategia di politica nazionale dello Stato”. Affida le amministrazioni occupate a fedelissimi, spie e criminali. Mascherandoli da promotori di una identità «omogenea» e dell’integrazione dei territori.
Al centro della pianificazione c’è l’idea di Russia come «stato-civiltà». Il Cremlino mira a far sì che il 95% di tutta la popolazione del Paese si identifichi come russa entro il 2036, compresi i 3 milioni di ucraini nei territori occupati e quelli che si aggiungeranno se le conquiste territoriali dovessero estendersi. La scadenza non è una casualità. Con la riforma costituzionale del 2020, Vladimir Putin potrà restare in carica fino al 2036.
La notizia è arrivata come una sentenza agli ucraini che vivono da quattro anni nelle regioni occupate. A decidere saranno però il negoziato e il campo di battaglia. La presa di Pokrovsk, che Putin chiama con il nome russo di Krasnoarmeisk, «contribuirà a garantire progressi costanti verso tutti gli obiettivi principali dell’operazione militare speciale», ha detto il presidente russo in attesa che arrivassero gli inviati Usa. L’offensiva si è concentrata sulla cittadina ridotta in macerie, considerata uno snodo cruciale per tentare di dilagare a ovest, completare l’occupazione del Donetsk e minacciare di spingersi sulla direttrice verso Kiev. D’accordo con il presidente Zelensky, il generale ucraino Sirskyi, dai suoi uomini definito «il macellaio», ha sacrificato decine di migliaia di soldati. Recentemente è stato criticato dal suo predecessore Valery Zaluzhny, attualmente ambasciatore ucraino nel Regno Unito.
«O saremo russi o per loro non saremo più esseri umani», riassume un messaggio raccolto attraverso la rete clandestina che trasmette le informazioni all’esterno delle zone conquistate militarmente. Ed è quello che si aspetta chi resiste nelle aree di attrito se dovessero cadere in mano di Mosca. Arresti, torture, sparizioni. E delazione tra ucraini. Non si contano i processi ai civili accusati di «collaborazionismo con il regime di Kiev». Sono le autorità russe a trasmetterli in diretta televisiva. Il condannato dentro una gabbia, le accuse per aver tradito, il verdetto pronunciato con il tono dell’avvertimento a chi ascolta.
I gruppi clandestini che monitorano le attività interne alle aree occupate concordano nel definire il regime di occupazione come “stato di polizia”. Le informazioni fuoriescono attraverso canali Telegram e altri contatti protetti. Le modalità cambiano quasi quotidianamente, per non farsi intercettare. In Ucraina i referenti della dissidenza creano falsi gruppi sui social network, apparentemente basati nel Donbass: adoperano utenze e identità fasulle, sotterfugi che permettono di tracciare e far conoscere i provvedimenti giudiziari degli occupanti. Quest’anno nelle province di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia, Kherson sono state emesse almeno 190 condanne contro civili accusati di «alto tradimento», «spionaggio» o «collaborazione con uno stato straniero».
L’Ucraina è un bottino da amministrare come facevano gli zar: privilegi economici e titoli in cambio della più assoluta fedeltà. A Snigurivka, nel sud poi liberato, era stato nominato capo dell’amministrazione di occupazione il trafficante di droga ucraino Yuri Barbashov, passato dalla parte dei russi. Nessuno lo ha dimenticato. Le gente del villaggio bersagliato giorno e notte dai droni, dice che nel cimitero molti defunti del 2024 sono stati seppelliti avendo ancora in faccia «il nome di Giuda», il «traditore dei suoi stessi fratelli ucraini». Attraverso la sua rete di contrabbando, l’indimenticato Yuri aveva fornito alle forze di invasione la logistica necessaria al trasferimento di equipaggiamento militare prima dell’invasione del 2022. In cambio, del via libera ai propri commerci.
Negli uffici comunali di Hornostaivka, a metà sulla strada verso nord tra Kherson e Nikopol, si è rifatto vivo un volto noto dello spionaggio russo. È Artur Talanov, che pochi giorni fa ha ricevuto la guida del “dipartimento di controllo municipale”. A quanto riferiscono le fonti clandestine, si occupa della registrazione delle case che le autorità di occupazione definiscono «senza proprietario». Sono edifici espropriati illegalmente ai “filoucraini”, oppure appartenenti a sfollati e ora consegnati in proprietà a famiglie russe trasferite nell’Ucraina orientale, dove Mosca sta attuando un piano di ripopolamento per sbilanciare demograficamente la presenza russa. Artur Talanov era collegato all’omicidio del banchiere russo Ivan Kivelidi, ucciso nel 1995. Nella cornetta del telefono erano state applicate alcune gocce di una sostanza nervina paralizzante. Si scoprì che era il “Novichok”, un veleno militare successivamente adoperato durante i mandati di Vladimir Putin per eliminare ogni genero di nemico in patria e all’estero. Successivamente arrestato e condannato a 7 anni di carcere in Estonia per strani traffici in favore di Mosca, Talanov ha scontato la pena tacendo sui suoi complici. Anche per lui il “premio fedeltà” si chiama Ucraina.
L’oppressione non è fatta solo di stanze per le torture, deportazioni nelle prigioni russe, minacce con le armi. Molto passa dalle carte bollate. Dal primo gennaio del 2026 i proprietari di veicoli che non avranno ottenuto targhe russe saranno multati e i mezzi potranno essere confiscati. Per mettersi in regola bisogna prima possedere il passaporto di Mosca. Senza del quale non si può accedere all’assistenza sanitaria per la famiglia, all’istruzione per i figli, non si possono firmare contratti né vedere confermato il posto di lavoro. Mosca non ha ancora reso noto quanti passaporti abbia rilasciato. Numeri che potranno essere utilizzati nel negoziato per sostenere che nel Donbass vivono milioni di “russi”. E che Mosca non potrà abbandonarli.

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