Guerra degli aiuti nella guerra di Gaza: le file per un po' di cibo

La controversa società Ghf dice di avere distribuito 800mila pasti. Johnathan Whittal (Ocha-Opt): «In azione per i furti bande criminali sotto la sorveglianza delle forze israeliane»
May 27, 2025
Guerra degli aiuti nella guerra di Gaza: le file per un po' di cibo
Ansa | Sfollati mostrano gli aiuti ottenuti a Khan Yunis
Affamati, inseguiti dalla guerra, perseguitati da Hamas. Da 600 giorni Gaza è un girone d’inferno. Per i 58 ostaggi israeliani ancora prigionieri degli estremisti e per gli sfollati che percorrono senza un riparo sicuro i 70 chilometri del ristretto perimetro, chiuso dal mare e dal cemento armato. Ordini di evacuazione, spostamenti forzati, bombardamenti, fuoco incrociato. E la testa all’insù, perché dal cielo piomba la condanna delle armi e plana la speranza degli aiuti sganciati dai rari voli umanitari. Da dietro al muro arrivano anche notizie di pestaggi, minacce e interrogatori brutali degli uomini di Hamas contro i civili che si oppongono allo strapotere dell’organizzazione armata. Cinque sarebbero stati uccisi ieri mentre tentavano di raggiungere le derrate che Hamas nasconde, una notizia che però non è stato possibile verificare. Il malcontento a lungo silenziato con la minaccia delle armi è ora crescente, come dimostrano le migliaia di gazawi che si sono accalcati per afferrare un pacco degli aiuti umanitari che la controversa Gaza Humanitarian Foundation (Ghf) ha iniziato a distribuire martedì. In un comunicato, Ghf ha dichiarato che due dei quattro centri di distribuzione aperti nella Striscia hanno consegnato ieri «circa 14.550 scatole di cibo» e che «ogni scatola sfama 5,5 persone per 3,5 giorni, per un totale di 840.262 pasti». «Nessun colpo sparato», ha aggiunto la società controllata dagli Stati Uniti. Gli estremisti avevano ordinato di stare alla larga e minacciato conseguenze per chi avesse allungato le braccia verso americani e israeliani. Ma anche ieri, chiusi in lunghe gabbie costruite come quei corridoi transennati degli allevamenti intensivi, migliaia di palestinesi si sono messi in coda per ricevere cibo in scatola, farina e sapone. Nella calca del primo giorno almeno 47 persone sono rimaste ferite. Non per i disordini, ma «a causa di colpi di arma da fuoco», ha dichiarato Ajith Sunghay, capo dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani nella Palestina occupata. «Gli spari – ha denunciato – provenivano dalle forze israeliane». Tuttavia l’Ufficio dell’Onu non è stato in grado di fornire l’esatta indicazione dei luoghi in cui i civili sono stati colpiti. E Tel Aviv ha categoricamente smentito di avere aperto il fuoco.

Quella per gli aiuti è una guerra nella guerra. Diversi funzionari internazionali contattati da Avvenire hanno fornito la stessa versione. Uno di loro, impegnato personalmente nella gestione degli aiuti nella Striscia e anche nel dossier per il rilascio degli ostaggi, riassume per tutti: «Già da settembre-ottobre i camion venivano sistematicamente saccheggiati dalle “famiglie” che gestiscono il racket all’interno di Gaza». Si tratta di clan del Sud che stanno approfittando dell’indebolimento di Hamas per guadagnare terreno. «Hamas ha più volte cercato di colpirle e smantellarle – spiega la fonte – per permettere l’ingresso dei viveri e soprattutto per marcare e riprendersi il controllo del territorio». Uno scontro nel quale il fattore umanitario viene sfruttato allo scopo di esercitare il potere sul terreno. «Chiunque di noi – denuncia il funzionario internazionale – sapeva che i saccheggi potevano avvenire solo con il beneplacito se non con il supporto dell’esercito, visto che quasi sempre avvenivano in aree molto vicine al muro che circonda Gaza, e nella fascia di sicurezza totalmente sotto il controllo israeliano, dove chiunque si fosse avvicinato senza il permesso sarebbe stato immediatamente abbattuto da cecchini e droni». Nei giorni scorsi altre fonti di istituzioni e organizzazioni internazionali avevano fornito la medesima ricostruzione.

Ieri il Cogat, l’unità del ministero della Difesa israeliano che coordina le attività governative nei territori occupati, ha accusato le agenzie Onu di non avere cooperato con il nuovo sistema di distribuzione degli aiuti. Dall’Onu hanno replicato con una nota. E basta venire al valico israeliano di Kerem Shalom per farsi un’idea. «Cerchiamo di raggiungere ogni giorno l’unico valico di frontiera aperto e di trasportare le merci in sicurezza, ma ci imbattiamo in un coordinamento disfunzionale con le truppe sul campo – si legge nella dichiarazione –, che ci costringe ad aspettare ore in una zona militarizzata in attesa del via libera, mentre i bombardamenti continuano. Quando ci viene permesso di muoverci, i percorsi fornitici dalle forze israeliane sono inappropriati e pericolosi». A prendersi la responsabilità di confermare queste accuse è stato Jonathan Whittall, capo di Ocha Opt, l’Ufficio Onu per i diritti umani nella Palestina occupata. «Il vero furto di aiuti dall’inizio della guerra – afferma – è stato effettuato da bande criminali, sotto la sorveglianza delle forze israeliane, e sono state autorizzate a operare in prossimità del punto di attraversamento di Kerem Shalom».
Migliaia di palestinesi hanno saccheggiato un deposito di aiuti Onu a Deir el-Balah, come ha confermato il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam). Le immagini diffuse dall’agenzia Afp mostrano una folla di palestinesi che irrompe in un magazzino del Pam, rubando provviste alimentari, mentre si sentono colpi d'arma da fuoco."Un'orda di affamati ha fatto irruzione nel magazzino", ha scritto il Pam. Secondo le prime notizie sarebbero morte 4 persone colpite dagli spari o gravemente ferite nella calca. Sulla provenienza dei colpi non c’è chiarezza. Alcune fonti sostengono che si sia trattato di uomini di Hamas, altre parlano di milizie che tentano di accaparrarsi il controllo dei saccheggi.

Giorni fa almeno sette “predoni” di aiuti sono stati uccisi in azioni attribuite ad Hamas, hanno riferito fonti delle forze di difesa di Tel Aviv. Le autorità di Israele dicono di non voler essere coinvolte in questi scontri interni. Fonti Onu da Gaza ci hanno trasmesso ieri la prova del ritorno in campo di Abu Shabab, il chiacchierato capo milizia con un passato da affiliato all’Isis. Da settimane il suo nome era nella lista dei principali sospettati dei saccheggi compiuti impunemente contro i convogli. In una foto si vede proprio Abu Shabab. Indossa equipaggiamento militare moderno, mostra i simboli della Palestina, imbraccia un mitra mentre allo scoperto sorveglia una strada nella quale alle sue spalle transitano anche veicoli dell’Onu. L’immagine è del Sud di Gaza, in una zona dove è impossibile che uomini armati, con divise ed elmetti, possano sostare all’aperto senza venire colpiti dai droni israeliani.
Per i civili non è una buona notizia. Gli uomini di Shabab aprono e chiudono i rifornimenti dei mercati manipolando i prezzi: la farina ha superato i 10 euro al chilo. Intanto Hamas continua a vessare chi dissente. «È ripugnante e vergognoso che mentre i palestinesi stanno subendo atrocità da parte di Israele – denuncia Erika Guevara-Rosas, capo delle investigazioni di Amnesty International – le autorità di Hamas stiano aggravando le sofferenze inasprendo minacce e intimidazioni». Il 16 aprile alcuni residenti di al-Alatra, nel Nord, sono stati trascinati in un edificio trasformato in un improvvisato centro di detenzione, poi torturati da una cinquantina di uomini armati e in abiti civili. «Mi hanno colpito coi bastoni di legno sul collo e sulla schiena. Mi urlavano che ero un traditore, un collaborazionista del Mossad (i servizi segreti israeliani, ndr). Ho risposto che siamo scesi in strada perché vogliamo vivere, vogliamo da mangiare e da bere», ha raccontato l’uomo raggiunto da alcuni ricercatori internazionali. «Ho perso la mia famiglia in uno dei peggiori massacri di questa guerra, cinque fratelli e sorelle e i loro figli – ha raccontato un altro –. È stato terribile essere chiamato collaborazionista, con i familiari uccisi».

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