«Dov'è tuo fratello?». Quella domanda che si alza dalle macerie di Gaza
di Redazione
La voce di Dio nelle Scritture continua a interrogarci, di fronte alla crudeltà e all'orrore. Facciamo la nostra parte abbattendo i muri dell'indifferenza e del pregiudizio

Non si vede più il cielo sopra Gaza. Si levano gli sguardi in alto per sperare che gli aiuti cadano il più vicino possibile e che quel cibo non diventi occasione per una nuova strage. Per il resto, gli occhi rimangono bassi a disegnare con l’immaginazione quello che c’era e che oggi non esiste più, lì dove i bambini hanno presto imparato a guardare in faccia la paura e le madri continuano a raccogliere quei brandelli di vita che resta. Dal 7 ottobre 2023, l’odio e la distruzione attraversa, implacabile, la Terra Santa, in un crescendo di violenza che nessuno avrebbe mai voluto o potuto immaginare. In questa terra martoriata, la conta dei morti sale di ora in ora, senza accennare a fermarsi: ad oggi oltre 60mila persone sono state uccise, e più di 18mila erano bambini innocenti. Adesso, l’assedio totale del territorio e le demolizioni controllate danno forza alla decisione di occupare Gaza, come annunciato dell’ufficio del primo ministro israeliano.
Nel Libro della Genesi, la prima domanda che Dio rivolge all’uomo, dopo che sulla terra è stato versato sangue innocente, è: «Dov’è tuo fratello?». Torna ancora a farsi spazio quella domanda. Dov’è tuo fratello? È sotto le bombe, nascosto tra i resti della sua casa, o in fuga con la famiglia verso un rifugio che non c’è. Ma è anche dentro a una divisa, armato, convinto di obbedire al dovere e alla paura, mentre attraversa confini tracciati con il filo spinato.
C’è un punto in cui la fede si fa responsabilità e ha bisogno di tradursi in testimonianza. Restare neutrali non è mai stata un’opzione. La voce di Dio continua a interrogarci e non ci chiede grandi riflessioni o accurate analisi, ma il coraggio di dare voce alla nostra coscienza e di scegliere, anche in questo caso, da che parte stare. Per fede – in particolare noi cristiani – siamo chiamati a non rassegnarci alle decisioni altrui quando calpestano la dignità umana, ma a interrogarci e agire per fermare la spirale di odio. Papa Francesco ha definito ciò che sta accadendo a Gaza «non una guerra, ma una crudeltà» e papa Leone XIV ha proseguito gli appelli di Pace chiedendo a ciascuno di noi di costruire ponti e di aprire spazi di dialogo e incontro.
Forse verrebbe spontaneo, di fronte a tanto orrore, cercare un colpevole assoluto, schierarsi, puntare il dito. Non serve, ora, stabilire chi abbia ragione e chi torto; né serve lasciarsi trascinare da ideologie o irrigidirsi su posizioni che rischiano soltanto di soffocare sul nascere ogni piccola possibilità di dialogo. Dividersi ulteriormente, alimentare l’odio con il rancore e il fanatismo, non farà che allontanare ancora la pace. L’umanità, in questo caso, è l’unica “ragione” che merita attenzione e che chiede di aggiungere il nostro contributo affinché tacciano le armi. Scegliere il dialogo potrà sembrare ingenuo, perfino utopico. Eppure, è l’unica via d’uscita possibile. In fondo, ogni guerra, prima o poi, termina soltanto quando le parti accettano di parlarsi. Facciamo la nostra parte, dunque, abbattendo i muri dell’indifferenza e del pregiudizio, assumendo un atteggiamento sempre conciliante, tendendo la mano dove altri la rifiutano, manifestando con decisione l’assoluto e deciso ripudio alla guerra, facendo rete, perché questo appello diventi sempre più espressione di una comunità che sceglie di mettersi in cammino. Non sempre possiamo cambiare le decisioni dei governi da soli, ma non è certo con il silenzi che cambieremo le cose.
«Dov’è tuo fratello?». È l’espressione che può salvarci. La Parola che ci richiama a essere – noi per primi, non gli altri, come ricorda un celebre testo di don Tonino Bello – artigiani di pace, operatori di giustizia, custodi dell’umanità anche quando il mondo sceglie di voltarsi dall’altra parte. Non tutto è perduto se c’è ancora chi si lascia inquietare, chi non si rassegna o si abitua a un dolore apparentemente lontano, chi sceglie di farsi prossimo, chi continua a sperare.
Direttore Caritas Italiana
Nel Libro della Genesi, la prima domanda che Dio rivolge all’uomo, dopo che sulla terra è stato versato sangue innocente, è: «Dov’è tuo fratello?». Torna ancora a farsi spazio quella domanda. Dov’è tuo fratello? È sotto le bombe, nascosto tra i resti della sua casa, o in fuga con la famiglia verso un rifugio che non c’è. Ma è anche dentro a una divisa, armato, convinto di obbedire al dovere e alla paura, mentre attraversa confini tracciati con il filo spinato.
C’è un punto in cui la fede si fa responsabilità e ha bisogno di tradursi in testimonianza. Restare neutrali non è mai stata un’opzione. La voce di Dio continua a interrogarci e non ci chiede grandi riflessioni o accurate analisi, ma il coraggio di dare voce alla nostra coscienza e di scegliere, anche in questo caso, da che parte stare. Per fede – in particolare noi cristiani – siamo chiamati a non rassegnarci alle decisioni altrui quando calpestano la dignità umana, ma a interrogarci e agire per fermare la spirale di odio. Papa Francesco ha definito ciò che sta accadendo a Gaza «non una guerra, ma una crudeltà» e papa Leone XIV ha proseguito gli appelli di Pace chiedendo a ciascuno di noi di costruire ponti e di aprire spazi di dialogo e incontro.
Forse verrebbe spontaneo, di fronte a tanto orrore, cercare un colpevole assoluto, schierarsi, puntare il dito. Non serve, ora, stabilire chi abbia ragione e chi torto; né serve lasciarsi trascinare da ideologie o irrigidirsi su posizioni che rischiano soltanto di soffocare sul nascere ogni piccola possibilità di dialogo. Dividersi ulteriormente, alimentare l’odio con il rancore e il fanatismo, non farà che allontanare ancora la pace. L’umanità, in questo caso, è l’unica “ragione” che merita attenzione e che chiede di aggiungere il nostro contributo affinché tacciano le armi. Scegliere il dialogo potrà sembrare ingenuo, perfino utopico. Eppure, è l’unica via d’uscita possibile. In fondo, ogni guerra, prima o poi, termina soltanto quando le parti accettano di parlarsi. Facciamo la nostra parte, dunque, abbattendo i muri dell’indifferenza e del pregiudizio, assumendo un atteggiamento sempre conciliante, tendendo la mano dove altri la rifiutano, manifestando con decisione l’assoluto e deciso ripudio alla guerra, facendo rete, perché questo appello diventi sempre più espressione di una comunità che sceglie di mettersi in cammino. Non sempre possiamo cambiare le decisioni dei governi da soli, ma non è certo con il silenzi che cambieremo le cose.
«Dov’è tuo fratello?». È l’espressione che può salvarci. La Parola che ci richiama a essere – noi per primi, non gli altri, come ricorda un celebre testo di don Tonino Bello – artigiani di pace, operatori di giustizia, custodi dell’umanità anche quando il mondo sceglie di voltarsi dall’altra parte. Non tutto è perduto se c’è ancora chi si lascia inquietare, chi non si rassegna o si abitua a un dolore apparentemente lontano, chi sceglie di farsi prossimo, chi continua a sperare.
Direttore Caritas Italiana
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