Doppio no al governo: bocciati i referendum irlandesi
Dopo il "successo" sull'aborto, il premier Leo Varadkar incassa una sonora sconfitta sulla parità di genere e su matrimoni e famiglia. Contestata anche la formulazione dei quesiti

Quello uscito ieri dalle urne irlandesi è un doppio «no» chiaro e del tutto inaspettato che segna una sconfitta clamorosa per il governo e interrompe bruscamente la strada delle modifiche costituzionali per via referendaria. Smentendo tutti i sondaggi della vigilia, i risultati dello spoglio del referendum di venerdì scorso hanno bocciato entrambe le modifiche al diritto di famiglia sostenute con forza dall’esecutivo centrista di Leo Varadkar.
I «no» hanno prevalso in modo netto fin dai primi conteggi innescando lo scaricabarile tra i partiti della maggioranza, già delusi da un’affluenza alle urne che si è attestata molto al di sotto delle aspettative. Il governo (guidato dal primo premier dichiaratamente gay della storia irlandese) aveva scelto l’8 marzo come data simbolica per svolgere una doppia consultazione che puntava ad abbattere un altro pezzo della Costituzione del 1937 modificandola in 3 settori cruciali della vita civile: il ruolo della donna, il valore del matrimonio e la fornitura di cure familiari in una società che invecchia.
Una Costituzione che nei suoi 87 anni di vita è stata modificata più volte dalle sentenze della Corte Suprema di Dublino e da ben 38 referendum popolari, tra cui quello che nel 2015 aveva legalizzato i matrimoni fra persone dello stesso sesso e quello che tre anni dopo aveva revocato il divieto di aborto. Stavolta i due quesiti miravano a escludere i riferimenti specifici al ruolo della donna nella vita domestica e ad estendere la definizione di famiglia contenuta nella Costituzione sostituendola con le “relazioni durevoli”, come le coppie conviventi e i loro figli. Oltre al governo anche i principali partiti di opposizione si erano battuti per un voto positivo su entrambi i referendum, nonostante alcuni dubbi sulla formulazione dei quesiti. Ma stavolta lo scarso afflusso alle urne registrato nella giornata di venerdì ha mostrato un Paese privo dell’entusiasmo che aveva caratterizzato le precedenti campagne referendarie.
Critiche nei confronti dell’esecutivo sono arrivate da destra ma anche dai gruppi femministi per l’uso del linguaggio, visto come un diversivo che puntava a celare la latitanza dello Stato rispetto alla propria funzione sociale. A promuovere i referendum era stata una speciale assemblea cittadina composta da 93 membri che aveva discusso una serie di modifiche costituzionali chiedendo al governo di adottare misure di sostegno per gli assistenti familiari e chi si prende cura dei propri cari. Il governo non ha però raccolto i suggerimenti dell’assemblea e della commissione parlamentare che avevano proposto impegni concreti a favore delle madri obbligate a lavorare fuori casa per necessità economica. Nel pomeriggio di ieri il primo ministro Varadkar si è presentato davanti alle telecamere e si è assunto la piena responsabilità di quello che lui stesso ha definito «un fallimento totale per il governo». Prima di lui Mary Lou McDonald, leader del principale partito d’opposizione Sinn Féin e accreditata dai più come prossima premier, l’aveva definita una chiara sconfitta per l’esecutivo (sebbene anche il suo partito avesse fatto campagna per un doppio sì) garantendo che non riproporrà i quesiti se sarà lei a formare il prossimo governo.
Con ogni probabilità l’esito di questo referendum porterà anche Dublino verso elezioni anticipate rispetto alla scadenza naturale della legislatura, prevista nel 2025.
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