Così affamati da ribaltare un camion. La spinta Usa per più cibo a Gaza

Poco dopo l’ingresso nella Striscia, un intero convoglio è stato preso d’assalto da una folla di disperati: almeno 20 morti. Stasera il gabinetto di sicurezza israeliano decide sull’occupazione
August 6, 2025
Così affamati da ribaltare un camion. La spinta Usa per più cibo a Gaza
ANSA |
L’ordine era chiaro: «Mettete in moto, seguite il tracciato, scaricate e tornate indietro prima possibile». Tranne l’ultimo passaggio, tutto è andato come previsto: 20 morti e i camionisti che non si sa come torneranno da Gaza al valico di Kerem Shalom. Doveva essere l’ultima consegna prima di sapere se stasera verrà dato l’ordine della completa cattura della Striscia.
Dopo giorni di attesa con l’aria condizionata sempre accesa per non farsi cuocere dal torrido agosto di guerra, il piano era quello di consegnare gli aiuti al di là del muro, su cui di tanto in tanto s’infrange l’eco delle raffiche sparate da dentro. L’ultimo tornante nella sabbia che precede il posto di blocco israeliano è la terra di nessuno dei fondamentalisti ebrei. Ogni giorno danneggiano i carichi e pure la notte scorsa, sotto alla luce delle fotoelettriche, hanno bucato le gomme degli autoarticolati. «I nostri ostaggi muoiono di fame, anche loro devono crepare senza cibo. Morte agli arabi», urlano con il pugnale nella cintola, indicando il recinto di cemento armato dentro a cui c’è la gente di Gaza.
Ad attendere i mezzi graziati dagli aggressori timidamente respinti dalla polizia, c’è un viaggio in controluce, nell’abbagliante mattino di Gaza, attraverso macerie e rovine. E la polvere sollevata dai mezzi pesanti e che da lontano gli sfollalti vedono come un richiamo. Gli autisti, molti sono arabi israeliani, hanno giurato su fogli di carta bollata che una volta dentro non avrebbero filmato nulla, niente foto, nessuna chiamata al telefono se non per emergenza. Non hanno fatto in tempo ad allontanarsi dai fucili spianati delle forze armate israeliane per inoltrarsi in mezzo a quel che resta della Striscia, quando una folla incontrollata ha preso d’assalto i cassoni carichi della speranza di trovare qualcosa da mettere sotto ai denti. Non era la classica pirateria di qualche clan armato, alcuni filo Hamas, altri nemici giurati dei miliziani. Stavolta le centinaia di uomini, ragazzi, donne che si sono parati davanti agli autisti implorando di fermarsi, aveva un solo scopo: arraffare tutto, specialmente le derrate. È così che i dannati degli aiuti si sono arrampicati a decine in cima ai bancali impilati uno sull’altro con quanto basta per sopravvivere qualche giorno, senza dover percorrere chilometri verso i centri di distribuzione della Gaza humanitarian foundation (Ghf). Li ha recentemente visitati l’inviato Usa, Steve Witkoff, che all’organizzazione israelo-americana non ha neanche detto «grazie», convincendo poi Donald Trump che sugli aiuti umanitari deve «fare di più». Parole che possono voler dire che alla Casa Bianca stiano pensando di rimandare il programma di Netanyahu. «Solo Dio può saperlo. In Medio Oriente le cose possono cambiare», ha riferito alla testata israeliana Ynet un alto funzionario di Tel Aviv, lasciando intendere che anche se la scelta sull’occupazione della Striscia sembra essere a un passo, altre decisioni potrebbero cambiare lo scenario. Nel corso della notte Trump potrebbe annunciare un «grande piano umanitario». Una mossa per intralciare Netanyahu: davanti a operazioni dispiegate dagli Usa, difficilmente il governo israeliano potrebbe ordinare subito l’attacco definitivo.
REUTERS
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Quanti esseri umani e quanta disperazione ci voglia per rovesciare un tir a pieno carico, è difficile anche solo immaginarlo. Ma è successo: nella furiosa ressa e sotto al peso dei bastimenti di terra sono morti in venti sotto a un camion, più del doppio i feriti. Da tempo nei residui ospedali della Striscia non arrivavano politraumatizzati senza una ferita di arma da fuoco.
Al contrario dell’imprecisato numero di civili centrati dai proiettili mentre si avvicinavano ai centri di distribuzione istituiti da Israele e Usa. Come da consueto copione, anche ieri è andato in scena il solito scambio di accuse tra forze israeliane e Hamas, ma non c’è maniera di verificare in modo indipendente le notizie che arrivano. Di certo è stato ucciso Suleiman Al-Obaid. Lo chiamavano “il Pelé palestinese”, quando da giovane era una stella del calcio locale. Per la Palestine football association è stato colpito da raffiche israeliane.
Le cose potrebbero andare peggio di quanto non sia già, se il gabinetto di sicurezza israeliano, convocato per questo pomeriggio, dovesse ordinare alle forze armate il completo assedio fino al confine egiziano. L’esercito continua a mostrare ostilità verso un piano che dovrebbe mettere nel conto uno scontro casa per casa, quasi corpo a corpo con gli oltre 20mila combattenti attivi nella Striscia. «Quanti caduti siamo disposti ad accettare?», hanno chiesto funzionari militari ai vertici del governo. Se lo scopo delle minacce della leadership israeliana era quello di fare pressione su Hamas, al momento sta ottenendo l’effetto contrario. Una trappola dei fondamentalisti, per alcuni osservatori israeliani.
Nei giorni scorsi gli Stati arabi e musulmani, tra cui Qatar, Arabia Saudita ed Egitto, hanno lanciato per la prima volta un appello congiunto affinché Hamas deponga le armi e rinunci al potere nella Striscia di Gaza. I fondamentalisti tacciono, mentre le forze di difesa di Tel Aviv hanno dapprima spostato carri armati verso Sud e poi emesso nuovi ordini di evacuazione per i residenti rimasti in nove aree del quartiere di Zeitoun, nella parte orientale di Gaza City. Sono stati avvertiti di «evacuare immediatamente» verso al-Mawasi, a ovest di Khan Yunis, nel sud. Dove potrebbe svolgersi un nuovo capitolo di una guerra che dopo 670 giorni non è ancora all’ultima pagina.

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