Cambiare nome per cambiare vita: è l'ultima moda sudcoreana
di Luca Miele
“Gaemyeong” significa «cambio di nome legale». Quasi 200.000 persone hanno richiesto ogni anno di modificare il proprio nome dal 2020 al 2023. Nel Paese crescono ansia e depressione

Siete stanchi e annoiati di voi stessi? Non sopportate più l’inerzia che rallenta e zavorra la vostra vita? Desiderate imprimere un cambiamento alle vostre abitudini e al vostro stile di vita? Cambiate nome! È quello che fanno sempre più sudcoreani: cambiano nome nella speranza (illusione?) di cambiare vita. “Gaemyeong” letteralmente significa «cambio di nome legale»: non si tratta di rivestire la propria identità con uno pseudonimo, ma appunto di cambiare il proprio nome legalmente. Da quando la Corte Suprema di Seul ha certificato che i singoli sono “autorizzati” a cercare la felicità, scegliere un nome nuovo è diventato nel Paese asiatico una sorta di moda. Come scrive il Korea Herald, quasi 200.000 persone hanno richiesto ogni anno di cambiare nome dal 2020 al 2023.
È l’ultima frontiera del cambiamento, o meglio dell’auto-cambiamento. Che si somma ad un altro settore chiave della società e del costume sudcoreani : quello della chirurgia plastica. Seul vanta il più alto numero di chirurghi estetici pro capite al mondo, davanti a Stati Uniti e Brasile. Le stime di Expert Market Research hanno calcolato che il valore di mercato del settore è ammontato a 1,95 miliardi di dollari nel periodo 2018-22. Secondo i dati più recenti, il 25 percento delle donne coreane di età compresa tra 19 e 29 anni e il 31 percento di quelle di età compresa tra 30 e 39 anni si sono sottoposte «a qualche forma di chirurgia plastica».
Ma torniamo al nome. Quali sono i benefici che si spera di ottenere liberandosi del primo “marchio” della propria identità? Lo spettro delle motivazioni è ampio. Si va dalla semplice valutazione estetica – si cambia nome perché lo si considera brutto -, a motivazioni più “arzigogolate”, come quella testimoniata da Woo Joo-hyun, 40 anni, che una volta si chiamava Woo Hyung-wook. «Ho iniziato a sentire che il mio nome aveva un’energia negativa quasi 20 anni fa. Mi hanno consigliato quattro o cinque nomi diversi, come Dong-hyun, Seong-jae e Jae-woo, nel corso di molti anni», ha raccontato. «All’inizio mi sono rifiutato ostinatamente di cambiare il mio nome, pensando che il mio nome non avesse nulla a che fare con la mia vita. Ma ho iniziato a pensare in modo diverso quando ho vissuto brutte esperienze più volte», ha aggiunto. Diversa la spiegazione offerta da Jung Jin-kyung, una madre di due bambini sulla sessantina, che in origine si chiamava Jung Mak-boon: «In passato – ha spiegato – la maggior parte dei genitori coreani preferiva i figli maschi alle figlie femmine. Quindi i genitori davano nomi alle femmine con una certa noncuranza. Questo potrebbe essere un altro motivo per cui molte donne più grandi, come me, volevano cambiare nome».
Siamo davanti a una soluzione di un problema o, invece, al materializzarsi del problema stesso? Un altro tassello di questo complicato puzzle identitario viene da un’indagine condotto dal Korea Institute of Public Administration, e riportata dal Korea Times: l’ansia e la depressione continuano a crescere tra i sudcoreani. Basterà cambiare nome?
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