«Accorciare le distanze tra chi vive avanti e gli ultimi del pianeta»
L'esperienza del Ciheam di Bari. Il vicedirettore Di Terlizzi: «Bisogna favorire condizioni di vita tali da permettere alle persone di restare nella terra di origine tra la propria gente»

Nell’ambito della cooperazione internazionale è da tempo maturata la consapevolezza che la sola crescita economica non riduce la povertà, se questa non è congiuntamente accompagnata ad un percorso di sviluppo integrale, che assuma come bussola di riferimento le ‘5P’ (Persone, Pianeta, Prosperità, Pace, Partenariato) a cui si ispirano i 17 Obiettivi dell’Agenda 2030, Conformemente all’articolo 11 della Costituzione, alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ed alla Carta delle Nazioni Unite, la cooperazione internazionale individua come presupposto del proprio agire la promozione della pace e della giustizia, guardando sempre in prospettiva alla costruzione di relazioni solidali e paritarie tra i popoli fondate sui princìpi di interdipendenza e partenariato. Non solo: “La cooperazione internazionale interviene sempre in contesti difficili, assistendo i più fragili, ma con la prospettiva di gettare le basi per creare condizioni di vita dignitose, ovvero, di generare e consolidare opportunità di sviluppo economico per le singole famiglie e l’intera comunità, assecondando tradizioni e culture delle specifiche realtà locali e favorendo condizioni di vita tali da permettere alle persone di restare nella terra di origine tra la propria gente” spiega Biagio Di Terlizzi, vicedirettore Ciheam Bari (Centro Alti studi Agronomici del Mediterraneo) e responsabile dell’ufficio Cooperazione Internazionale, sottolineando lo spirito ed il significato più profondo che spingono ad impegnarsi in prima persona, esponendo, non di rado, la propria incolumità fisica: “Accorciare le distanze tra chi vive in contesti più avanzati e gli ultimi del pianeta deve essere vissuto come un impegno sociale totalizzante che insegni a dare valore al dono della vita: della vita di ogni essere umano”.

E, allora, può questo valore essere messo in gioco per un pugno di farina per tanti, troppi, nostri fratelli? “Cooperare significa, innanzitutto, condivisione, comune sentire e, quindi, dialogo e scambio - di saperi, culture, beni - purché, sempre, alla pari, non arroccandosi su posizioni pregiudiziali o di superiorità, non guardando all’altro con compassione o disprezzo: vivere nella prospettiva di aiuto non implica necessariamente supportare chi è lontano, ma inizia tendendo la mano al nostro vicino. Si inizia a costruire con chi incontriamo sulla strada verso i Paesi partner a cui intendiamo portare sviluppo”.
E, se è vero che, mai in passato come in questo nostro tempo, l’umanità si è trovata di fronte a sfide di vastissima portata, è proprio nella regione mediterranea che queste stesse - insicurezza alimentare, transizione ambientale, emergenza umanitaria, disequilibrio demografico, crisi energetica, crescenti disuguaglianze, instabilità geopolitica- si saldano in un susseguirsi senza sosta di situazioni di crisi. E, per chi è impegnato all’interno di Ciheam Bari, che dal 1962 conduce attività di formazione, ricerca e cooperazione con le comunità costiere e rurali dei Paesi del Mediterraneo meridionale ed orientale, vivere il pericolo, esporsi in prima persona, è ben più di un’eventualità: “Ognuno di noi, nel nostro piccolo, può e dovrebbe dare il meglio di sé, nell’ambito dello spazio che occupa nella società.
La diplomazia scientifica deve essere accompagnata dalla "diplomazia dello sviluppo", valorizzando il livello di conoscenza locale e potenziandolo, grazie agli stimoli delle competenze dei paesi più avanzati, in modo che si costituisca in loco un corpo diplomatico strutturato, indispensabile nei paesi partner: questo è il solo a conoscere quegli equilibri etnici e comunitari locali in grado di permettere la reciproca cooperazione. Lo sviluppo, infatti - osserva Di Terlizzi - non può essere esportato: vanno rilevate il loco le potenzialità esistenti e definito un modello ad hoc rispondente ad una specifica fisionomia”. Per tutto ciò, certo, servono risorse finanziarie, ma non possono mancare quelle umane, ed alle competenze tecnico scientifiche devono affiancarsi altre qualità: “Sensibilità e fiducia nel prossimo ci spingano a riflettere, in una fase così drammatica, sul significato della convivenza, non cercando le singole responsabilità nel momento in cui si apre il conflitto, ma coltivando la pace giorno dopo giorno, perché non sia un’utopia, ma una esperienza quotidiana personale e collettiva”.
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