«A Gaza siamo tornati indietro di cent'anni. Quando finirà tutto questo?»
di Redazione
La vita tra le tende, con migliaia di persone che sono fuggite e si trovano ammassate. La quotidianità impossibile e indegna. E soprattutto tante domande sul futuro. La voce di Sara dalla Striscia

Sara Ruhia ha 37 anni e vive in un campo profughi di Deir al-Balah. Con la sua famiglia ha abbandonato Gaza City due settimane fa, unendosi a centinaia di migliaia di evacuati in fuga dai bombardamenti. Sara lavora per una Ong locale che si occupa di diritti umani. È una volontaria della Mezzaluna rossa.
Ogni volta che sono costretta a lasciare la mia tenda, camminando a piedi, mi sento stordita, nauseata e soffocata dalla disperazione. Guardo le persone intorno a me e le altre tende, circondate da polvere, sporcizia, rumore, immondizia, fumo dei fuochi e gas di scarico dei veicoli: una scena che si può vedere solo qui, in ciò che resta di Gaza. Migliaia di persone ammassate le une sulle altre, che vivono in spazi angusti e conducono una vita dura e primitiva: volti pallidi, corpi fragili, vestiti e scarpe strappati, bambini scalzi e seminudi, donne che cucinano all'aperto il poco cibo che hanno, e persone che fanno i propri bisogni in strutture sanitarie pubbliche piene di malattie.
Scene indescrivibili che non vengono viste dai politici di tutto il mondo, che però continuano a parlare dei residenti di Gaza, e di ciò che è loro accaduto. È vero, loro si battono per raggiungere la pace, che è un obiettivo politico, ma non si preoccupano necessariamente degli aspetti umanitari. La realtà è che la popolazione di Gaza vive in condizioni disumane, inaccettabili, le peggiori che si possano immaginare. La guerra ha distrutto e schiacciato la popolazione, riportandoci indietro di almeno cento anni: un misto tra il mondo antico e lontano e il mondo contemporaneo con la sua patina tecnologica e “civilizzata”.
Siamo intrappolati tra due mondi. Tengo in mano il mio telefono per seguire le notizie e scrivere messaggi come questo, sentendomi distaccata dal pianeta e schiacciata come il resto degli abitanti di Gaza. La mia preoccupazione principale è semplicemente quella di garantire alla mia famiglia i beni di prima necessità. Certamente non una vita decorosa, conforme alla dignità umana.
È difficile per qualsiasi politico al mondo comprendere la portata della tragedia umanitaria che si sta consumando qui. Anche coloro che hanno in mano “soluzioni” politiche e le promuovono avranno bisogno di anni per attuarle, mentre noi, il popolo di Gaza, avremo bisogno di anni di riabilitazione.
Quando lasceremo le tende? Quando tornerà il sistema scolastico? Quando i nostri figli torneranno a scuola? Quando tornerà il sistema giudiziario? Quando avremo una vita dignitosa? E quando, e quando…? Ci vorranno anni, anche se la guerra finisse.
(Testo raccolto da Luca Foschi)
Ogni volta che sono costretta a lasciare la mia tenda, camminando a piedi, mi sento stordita, nauseata e soffocata dalla disperazione. Guardo le persone intorno a me e le altre tende, circondate da polvere, sporcizia, rumore, immondizia, fumo dei fuochi e gas di scarico dei veicoli: una scena che si può vedere solo qui, in ciò che resta di Gaza. Migliaia di persone ammassate le une sulle altre, che vivono in spazi angusti e conducono una vita dura e primitiva: volti pallidi, corpi fragili, vestiti e scarpe strappati, bambini scalzi e seminudi, donne che cucinano all'aperto il poco cibo che hanno, e persone che fanno i propri bisogni in strutture sanitarie pubbliche piene di malattie.
Scene indescrivibili che non vengono viste dai politici di tutto il mondo, che però continuano a parlare dei residenti di Gaza, e di ciò che è loro accaduto. È vero, loro si battono per raggiungere la pace, che è un obiettivo politico, ma non si preoccupano necessariamente degli aspetti umanitari. La realtà è che la popolazione di Gaza vive in condizioni disumane, inaccettabili, le peggiori che si possano immaginare. La guerra ha distrutto e schiacciato la popolazione, riportandoci indietro di almeno cento anni: un misto tra il mondo antico e lontano e il mondo contemporaneo con la sua patina tecnologica e “civilizzata”.
Siamo intrappolati tra due mondi. Tengo in mano il mio telefono per seguire le notizie e scrivere messaggi come questo, sentendomi distaccata dal pianeta e schiacciata come il resto degli abitanti di Gaza. La mia preoccupazione principale è semplicemente quella di garantire alla mia famiglia i beni di prima necessità. Certamente non una vita decorosa, conforme alla dignità umana.
È difficile per qualsiasi politico al mondo comprendere la portata della tragedia umanitaria che si sta consumando qui. Anche coloro che hanno in mano “soluzioni” politiche e le promuovono avranno bisogno di anni per attuarle, mentre noi, il popolo di Gaza, avremo bisogno di anni di riabilitazione.
Quando lasceremo le tende? Quando tornerà il sistema scolastico? Quando i nostri figli torneranno a scuola? Quando tornerà il sistema giudiziario? Quando avremo una vita dignitosa? E quando, e quando…? Ci vorranno anni, anche se la guerra finisse.
(Testo raccolto da Luca Foschi)
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