A Gaza i malati restano prigionieri. Spostarsi per le cure è complicato

Il problema delle evacuazioni dalla Striscia per motivi medici appare irrisolto, a due mesi dalla proclamazione del cessate il fuoco. Ecco come funziona la lista dei pazienti in attesa, gestita dall'Oms
December 9, 2025
A Gaza i malati restano prigionieri. Spostarsi per le cure è complicato
Un piccolo paziente in attesa di cure a Gaza / Epa
Nemmeno sul fronte delle evacuazioni mediche, quella in corso a Gaza sembra una tregua vera. Si continua a rischiare la vita non solo per gli attacchi più o meno mirati, ma anche per le carenze di un sistema sanitario ripetutamente bersagliato e ampiamente distrutto e per le attese troppo lunghe imposte per le cure salva-vita all’estero.
Gli ultimi ad uscire dalla Striscia in ordine di tempo sono stati diciotto pazienti evacuati verso la Giordania e la Turchia il primo dicembre. Altri trasferimenti si erano svolti a novembre, ma il ritmo delle partenze appare ancora troppo lento. Durante il cessate il fuoco d’inizio anno, tra il 19 gennaio e il 17 marzo, erano state 1.702 le persone evacuate per ragioni mediche con il supporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), una media di ventinove al giorno. Sono, invece, meno di cinque al giorno dall’inizio della nuova tregua (235 casi critici trasferiti dal 13 ottobre e fino al 1° dicembre, quasi tutti bambini).
«Oggi, un paziente con lesioni traumatiche complesse o con patologie croniche e potenzialmente letali, come il cancro o l'insufficienza renale, si trova ad affrontare la stessa realtà impossibile di prima del cessate il fuoco», scriveva il 20 ottobre il dottor Javid Abdelmoneim, presidente internazionale di Medici Senza Frontiere (Msf), in una lettera aperta, indirizzata ai leder mondiali. Li sollecitava ad aumentare con urgenza l’accoglienza di nuovi evacuati, visto che «tra il luglio del 2024 e l’agosto del 2025, almeno 740 pazienti sono morti nell'attesa», aggiungeva.
Quel numero di decessi avvenuti aspettando di partire, dall’inizio del conflitto sarebbe complessivamente di oltre novecento, ha ribadito questa settimana Hani Isleem, che coordina le evacuazioni mediche per Msf. Il ritmo di fuoriuscite non è quasi per nulla aumentato con la tregua, malgrado – fa sapere il coordinatore di Msf – si sia assistito a un calo drastico del tasso di rifiuto da parte delle autorità israeliane alle evacuazioni, crollato da circa il 90% ad appena il 5% negli ultimi mesi. La difficoltà sta nel fatto che «i Paesi stanno impiegando molto tempo per decidere o stanziare il budget per questi pazienti», e perciò Medici senza Frontiere esorta ad agire subito, dando «priorità alle evacuazioni in base all'urgenza medica, accettando anche adulti e anziani, che costituiscono il 75 percento delle liste d'attesa».
Dall’inizio del conflitto, due anni fa, e fino al primo dicembre, i pazienti evacuati dalla Striscia sono 10.620, di cui 5.608 bambini. A viaggiare con malati e feriti, oltre 12.000 accompagnatori. Sono stati accolti in oltre trenta Paesi, più della metà nel solo Egitto (6.334 casi), poi nell’ordine in Emirati Arabi Uniti, Qatar, Turchia, Paesi Ue (553 pazienti, di cui 215 nella sola Italia), Giordania, Algeria, Tunisia, Oman e Stati Uniti (48). Sempre secondo l’Oms, in cima alla lista di patologie e condizioni mediche che hanno richiesto il trasferimento, compaiono per primi i traumi, poi le malattie oncologiche, le anomalie congenite e, a seguire, le complicazioni oftalmologiche e cardiovascolari.
Come si viene inseriti nella (lunga) lista per le evacuazioni? Un medico di una struttura pubblica a Gaza deve rilasciare un modulo di richiesta di cure all'estero. L'ospedale curante lo inoltra a una Commissione che esamina il caso e ne stabilisce la priorità. Chi fa richiesta ha a disposizione una app chiamata “Sehhaty” per verificare se la Commissione ha dato o meno la sua approvazione. Gli elenchi dei pazienti approvati vengono poi condivisi con l’Oms che li invia ai Paesi che potrebbero essere aperti all’accoglienza. I nomi, una volta autorizzati dagli Stati ospitanti, vengono fatti avere alle autorità israeliane per l'autorizzazione di sicurezza. È l’Oms a contattare chi partirà, e a negoziare la data con i Paesi di destinazione e con Tel Aviv.
Prima di uscire dalla Striscia, spetta all’Oms gestire anche i trasferimenti da nord a sud di Gaza e a trasportare i pazienti a Kerem Shalom, dove le autorità israeliane effettuano ulteriori controlli di sicurezza. Su autobus e ambulanze si prosegue verso l'aeroporto di Ramon o il ponte di Allenby (sul fiume Giordano, vicino alla città di Gerico in Cisgiordania verso la Giordania). Lo scorso agosto sono stati diramati appelli e raccomandazioni affinché si faccia attenzione alle frodi: «Il ministero della Salute palestinese e l'Oms non applicano alcun costo in nessuna fase di evacuazione sanitaria» è stato il messaggio diffuso. E infatti il processo è gratuito. «I Paesi che accettano di accogliere devono (…) coprire tutti i costi dell'assistenza medica, incluso il supporto per la salute mentale, assistere il paziente e gli accompagnatori con l'alloggio e le esigenze essenziali durante il trattamento». Ora, l’Oms, anche attraverso il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, è tornato a chiedere che si aumenti l'accoglienza da parte degli Stati membri, che si incrementino le evacuazioni mediche fino a cinquanta pazienti al giorno, e che venga ripristinato il corridoio sanitario verso la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est. Insomma, che nel mezzo della già vasta tragedia di Gaza, nessuno più muoia aspettando di venire evacuato.

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