Afghanistan, spose senza volerlo. Chi asciuga le lacrime di Yasmin?
di Redazione
Il divieto di andare a scuola e la povertà inducono le famiglie a vendere le figlie. Safiqa, 14 anni: «A mio padre non interessava che a chiedere la mia mano fosse un uomo della sua età»

Dare voce alle donne. Quando e dove non ne hanno. Perché della loro condizione ancora troppo svantaggiata si sappia e si parli. Dal Libano all’Iraq, dal Messico alla Nigeria, dall’Afghanistan alla Somalia, dall’India al Perù: sono 10 le reti indipendenti di giornaliste che hanno aderito alla nostra proposta “Donne senza frontiere”, il progetto di Avvenire per l’8 marzo 2025. A partire da quella data pubblichiamo ogni 15 giorni un reportage di ciascuna delle reti coinvolte. Questa ultima puntata è stata realizzata dalla direttrice della rete Rukhsana Media, Zahra Joya. La redazione si trova a Londra, le croniste scrivono in segreto da Kabul.
Shafiqa (il nome è di fantasia) è una ragazza di 16 anni, residente a Sheberghan, nella provincia di Jawzjan, che è stata data in sposa, nel 2023, a un uomo di 46 anni conosciuto solo un mese prima delle nozze. Da piccola sognava di diventare una dottoressa ed è riuscita a coltivare la sua aspirazione fino alla settima classe. Quando i taleban sono tornati al potere, nell’agosto 2021, e hanno messo al bando l’istruzione femminile, la sua vita, fino ad allora da prima della classe, ha preso una strada che non assomigliava neppure lontanamente ai suoi desideri. «Era inverno quando vennero a chiedere la mia mano. A mio padre non interessava che diventassi la moglie di un uomo molto più anziano di me, della sua stessa età, perché badava solo alla ricchezza e al denaro che avrebbe guadagnato dal matrimonio. Del mio futuro non gliene importava nulla. Accettò la prima proposta senza esitazioni».
Shafiqa volevadiventare dottoressa
Se l’Afghanistan non fosse scivolato di nuovo nel regime oscurantista dei fondamentalisti islamici, la storia di Shafiqa, forse, sarebbe stata diversa. La giovane racconta che le restrizioni imposte dai taleban all’istruzione femminile, consentita solo fino alla sesta classe (fino ai 12 anni, ndr), hanno dato a suo padre il giusto pretesto per costringerla a sposarsi. «Papà ignorava le mie lacrime come se per lui non fossi altro che un oggetto – sottolinea - come se non fossi nemmeno sua figlia». E per cosa? Il matrimonio con un uomo 30 anni più vecchio di lei procurò alla sua famiglia due jerib e mezzo di terreno agricolo. Shafiqa, ora incinta di sette mesi, ricorda di essere stata data in sposa senza neppure una cerimonia nuziale. «Era pomeriggio quando a casa arrivò un mullah, seguito da pochi parenti — non più di una ventina tra uomini e donne — e fu celebrato il matrimonio. Senza abito da sposa, con solo un vestito di velluto rosso che già possedevo. Mi proclamarono moglie dell’uomo diventato mio marito e mi mandarono a casa sua».
Una su 3 diventa moglie prima dei 18 anni:
il 10% ne ha meno di 15. Mursal, fidanzata a un anziano
contro il suo parere, si è tolta la vita.
Marwa ne aveva 12 e il suo matrimonio è un disastro
Secondo i dati dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (Usaid), tra il 2020 e il 2024 la percentuale delle ragazze afghane che si sono sposate prima dei 18 anni è stata del 28,7%; il 9,6% di questi matrimoni è avvenuto prima dei 15 anni. Un’altra agenzia governativa Usa, Sigar, Ispettorato speciale generale per la ricostruzione dell’Afghanistan, ha stimato che i matrimoni forzati delle bambine in Afghanistan sono aumentati almeno del 35% proprio in seguito alla chiusura delle scuole imposta dai taleban.
Yasmin (anche questo è uno pseudonimo) oggi ha 17 anni e racconta che nel 2022, sotto la pressione della famiglia, fu costretta a sposare un uomo di 32. Aveva solo 14 anni quando disse “Sì”. La sua speranza, così confida, era che il matrimonio potesse migliorare la situazione economica della sua famiglia aggravatasi quando suo padre ha smesso di lavorare a causa di un tumore al fegato. L’uomo diventato suo marito avrebbe dovuto pagare una dote di 650.000 afghani (8.898 dollari) ma finora è riuscito a versarne solo 300.000 (4.065 dollari). L’adolescente vive ancora con la famiglia paterna nel distretto di Injil, alla periferia di Herat, perché suo marito lavora come venditore ambulante e raccoglitore di rottami, pane secco e plastica. È impensabile che, in queste condizioni, possa riuscire a dare ai genitori di Yasmin i restanti 350.000 afghani promessi. Tantomeno mantenere una sua famiglia. La ragazza, con la preoccupazione negli occhi, insiste: «Mio marito chiede soldi agli altri e dice sempre che, se non riesce a pagare il debito, dovrà chiedere un prestito. La sua famiglia continua a ricordargli che ha fallito perché non è riuscito a contrattare una dote più bassa». Yasmin passa gran parte del tempo da sola nella sua stanza. Da un anno è in cura presso l’ospedale psichiatrico statale di Shedayee, a Herat, e assume antidepressivi. «Sono sempre triste e non riesco a dormire. Lotto sempre con problemi di salute mentale. A volte ho attacchi di ansia e in un paio di occasioni ho perso temporaneamente l’uso delle gambe». Il destino delle sue sorelle non è molto diverso: anche loro sono state costrette a matrimoni precoci e forzati. «Tutte e cinque sono state date in sposa ancora bambine, alcune già grandi abbastanza da indossare il velo che copre la testa, altre ad appena cinque o sei anni. Nessuna di loro è felice. Una è tornata a casa nostra un mese fa, e suo marito non l’ha nemmeno chiamata per sapere se fosse viva o morta».
Quattro anni fa, un’inchiesta dell’agenzia France-Presse documentò che fame e miseria avevano spinto alcune famiglie afghane a vendere le proprie figlie per sopravvivere. La situazione, oggi, è peggiorata in modo significativo. Anche la 15enne Marwa è stata costretta, tre anni fa, a sposare un uomo che non amava. Lei aveva 12 anni, lui 21. L’aveva convinta la madre, sperando che il matrimonio potesse migliorare la difficile condizione economica della famiglia. «A volte non avevamo cibo da mettere in tavola a cena», spiega. Il sacrificio della ragazza non è servito a nulla. Povera è anche la famiglia del marito che, tra l’altro, è un disoccupato neppure interessato a cercarsi un impiego. «Non è serio né sul lavoro, né nel matrimonio, né in famiglia – osserva Marwa -. Passano giorni senza che io riceva sue notizie».
La polizia moraleportò in prigione Samira
I taleban hanno costretto una 19enne di Kabul, Samira, a sposare il proprietario della fabbrica di tappeti in cui lavorava. Quattro uomini in tunica e pantaloni bianca, agenti della polizia morale, fecero irruzione l’estate scorsa nel laboratorio tessile dove si era recata per riscuotere il salario dopo tre mesi di duro lavoro. La incalzarono con le domande: «Chi è quest’uomo per te? Perché sei qui da sola? Cosa ci fai qui?». Uno di loro la insultò urlando: «Ragazza senza vergogna! Ti sto parlando — perché sei con un uomo che non è tuo parente?». La giovane, paralizzata dalla paura, fu portata in una stazione di polizia e costretta a sposare, nello stesso giorno, il proprietario della fabbrica, un uomo che aveva già due figli. Samira ha tentato il suicidio.
Poco dopo un matrimonio imposto si è tolta la vita Mursal, 22 anni, residente in un villaggio della provincia di Faryab, a nord. A trovare il suo corpo esanime è stata la sorella più grande, Farzana, che racconta del fidanzamento tra Mursal e uno dei «più cari amici» del padre. «Quel giorno mia sorella pianse tantissimo. Mi pregò di fare qualcosa per impedirlo, ma non potevo fare nulla. Mio padre non ha mai tenuto in considerazione né mia madre né nessuna delle sue figlie. La sua decisione era definitiva».
Hanno collaborato le reporter di Rukhshana Media
Traduzione dall’inglese di Angela Napoletano
Traduzione dall’inglese di Angela Napoletano
Rukhshana Media è una piattaforma in lingua inglese e dari specificatamente dedicata alla questione femminile in Afghanistan. L’ha fondata nel 2020 la giornalista Zahra Joya che oggi continua a dirigerla da Londra, dove vive in esilio. Della rete fanno parte reporter che, da Kabul, lavorano in segreto e sotto pseudonimo per motivi di sicurezza. Rukhshana è il nome di una diciannovenne, di un villaggio della provincia di Ghor, che nel 2015 è stata brutalmente lapidata e uccisa per adulterio:aveva deciso di rompere un matrimonio forzato e fuggire con l’uomo che amava. Il video di 30 secondi che documentava i suoi ultimi istanti di vita, in una fossa scavata sulla collina brulla con un gruppo di uomini a guardarla morire, fece allora il giro del mondo. «In una società che punisce le scelte fondamentali delle donne – si legge nella presentazione del portale – raccontare le loro storie è una sfida che accogliamo per generare dibattiti e informare, per analizzare e indagare le problematiche legate alla condizione femminile nel nostro Paese». La direttrice Joya, oggi 33enne, racconta che da bambina, durante il primo regime taleban, si travestiva da ragazzo per poter andare a scuola. Costretta a fuggire da Kabul nel 2021, con il ritorno al potere dei fondamentalisti islamici, la giornalista continua a lottare dal Regno Unito per i diritti delle donne afghane e per raccontare le loro sofferenze e denunciare il regime di apartheid di genere imposto dai taleban. Nel 2022 è stata nominata “Donna dell’Anno” dalla rivista Time proprio per il suo lavoro. Le storie pubblicate da Rukhshana Media sono il frutto di inchieste realizzate in tutte le province dell’Afghanistan, anche in quelle più remote, essenziali ad aprire una finestra di informazione qualificata utile anche ai media internazionali e alla diaspora afghana nel mondo.
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