Vogliono farci credere che la cocaina sia la droga dei ricchi

È tempo di superare alcune convinzioni. Tra polvere bianca, crack e freebase, il consumo in realtà è molto trasversale. E la guerra ai soli consumatori non è la strategia vincente
November 4, 2025
Vogliono farci credere che la cocaina sia la droga dei ricchi
Se da più parti si levano strepiti e fragori a proposito di un’imminente conversione del consumo di sostanze psicoattive in direzione oppioidi sintetici, le strade italiane continuano a riempirsi di cocaina. Ci hanno fatto credere che questa sia la droga dei ricchi, che chi la utilizza sia in grado di controllarla, che l’eroina sia ben altra cosa e il suo consumo da tossici. Ce l’hanno fatto credere e ci abbiamo creduto. Così non è. La Relazione Annuale della Direzione Centrale Servizi Antidroga, rilasciata qualche giorno fa, specifica che il mercato della cocaina, si conferma il principale interesse dei gruppi criminali e che «lo spaccio di crack avviene tendenzialmente (…) nelle periferie cittadine e nei quartieri più popolari, dove è elevato il tasso di disoccupazione, ci sono situazioni di degrado ambientale e sociale e i pusher possono operare indisturbati perché protetti da fitte reti di vedette (…). In questi contesti la criminalità organizzata (…) è già in grado di produrre il crack all’interno di appartamenti o pertinenze di cui può facilmente disporre». Saremmo indotti a pensare che si tratti solo di hotspot di consumo locali tra comunità emarginate: così non è. Pur presentata come la versione povera della cocaina, anche in ragione di costi ridotti e qualità scadente, il crack registra ormai tipologie di consumatori socialmente trasversali e variegati. Cocaina, crack, e freebase: quali sono le differenze principali? Intanto le vie del consumo: al contrario della cocaina, i suoi derivati possono essere assunti per via inalatoria (fumo). La polvere bianca scaldata con bicarbonato di sodio (crack) o in soluzione acquosa (per eliminare i protoni in eccesso) con ammoniaca, cloroformio o etere (freebase), evapora a 96°. Presentandosi dopo questi semplici passaggi come granelli di colore marroncino, nella preparazione del freebase le impurità della cocaina si dissolvono, in quella del crack persistono, sebbene per entrambe l’aspettativa di una presunta purificazione va molto ridimensionata.
Le basi ottenute sono fumate con una pipa di metallo o di vetro – più raramente su un foglio di alluminio scaldato con una cannuccia – producendo effetti nel giro di pochi secondi e con una durata variabile – soggetto, contesto, caratteristiche, quantità e purezza della sostanza non vanno mai scisse – che si conclude bruscamente, tanto da indurre il consumatore a ricominciare con una nuova somministrazione o a garantirsi una discesa attutita attraverso l’uso di oppioidi, alcol, cannabinoidi o benzodiazepine. Va ricordato che l’overdose da cocaina, così come da crack e freebase, può essere letale, sopraggiungendo infarto del miocardico acuto o arresto respiratorio determinato da paralisi muscolare. Resta la difficoltà di accertare, dal punto di vista medico-legale, la sostanza come prima causa di morte. Le basi fumabili costano meno della cocaina ma conducono più velocemente alla dipendenza sia per la modalità dell’assunzione (fumata) sia per l’istaurarsi repentino della tolleranza. Alla fine si finisce per spendere anche di più. Spesso il consumo si accompagna a quello dell’alcol, dal cui connubio si genera spontaneamente un metabolita (cocaetilene) prodotto dal fegato, estremamente tossico per questo e per il cuore, ma in grado di produrre un’azione ancora più disregolante su stati mentali ed emozionali. Ci hanno fatto credere che il crack si fumi solo per strada, che a farlo siano esclusivamente emarginati e i reietti. Ce l’hanno fatto credere e ci abbiamo creduto. Così non è. Si consuma sempre di più e in qualsiasi contesto. Sono coloro che vengono dall’mdma, dalle amfetamine (speed) o dalla ketamina, ma anche persone che hanno utilizzato in precedenza alcol, cannabis o cocaina. L’astinenza in tutte le sue formulazioni provoca depressione, dolori muscolari, agitazione. L’uso prolungato accentua la possibilità di sviluppare psicosi, allucinazioni, aggressività.
Ad oggi, non esistono trattamenti d’elezione e terapie farmacologiche specifiche. Gli stabilizzatori dell’umore, gli agonisti dopaminergici, gli antidepressivi riducono il craving, ma questo, sul lungo periodo, non basta. Si rende necessario un intervento multidimensionale che preveda un lavoro psicologico-sociale e socio-culturale singolo e/o di gruppo. Proprio in questa chiave, i Servizi per le Dipendenze (Ser.D.) continuano a proporre risposte specialistiche e gratuite. Controllare la movimentazione di milioni di teu presso gli scali europei più importanti (Rotterdam, Gioia Tauro, Anversa-Zeebrugge) e presso quelli emergenti come Danzica (PL), Algeciras (ES), Costanza (RO) con le risorse di polizia attualmente dedicate non è fattibile, così come non lo è arginare un mercato che muove miliardi di dollari, il cui riciclaggio dissocia sempre di più il luogo di consumo dal luogo di reimpiego del denaro. Vorrebbero farci credere che la guerra ai consumatori sia la strategia vincente per avere la meglio su problematiche nel migliore dei casi appena governabili.
… Che così non sia.

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