Sull'Ucraina un piano di pace Usa centrico

Il ritorno di Donald Trump ha impresso un'accelerazione alla prospettiva di un cessate il fuoco. Un'evoluzione che ha colto di sorpresa i vertici Ue. E può essere un grande problema
February 9, 2025
Sull'Ucraina un piano di pace Usa centrico
Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha impresso una clamorosa accelerazione alla prospettiva di un cessate il fuoco tra Russia e Ucraina. Di colpo, la parola “trattativa”, per tre anni di fatto equiparata a “tradimento” o “sconfitta”, è diventata bene accetta. In qualche settimana, Zelensky ha acconsentito a un negoziato diretto con Putin (quello che nell’ottobre del 2022 aveva escluso per decreto) e Putin si è detto disposto a trattare con Zelensky, sebbene abbia ripetuto fino alla noia di considerarlo “illegittimo” perché il suo mandato è scaduto (pur sapendo che la Costituzione ucraina vieta elezioni in regime di legge marziale). E poche ore fa il presidente Usa ha annunciato per i prossimi giorni un incontro con Zelensky e un colloquio personale con Putin. Che un negoziato sia, detto con le dovute prudenze, quasi prossimo lo si può dedurre anche dalle operazioni sul campo. Nel Donbass, dove avanzano da mesi, i russi accentuano la pressione. Nella regione russa di Kursk, dove hanno fatto irruzione il 6 agosto del 2024, gli ucraini perdono terreno ma non rinunciano ad attaccare.
Gli uni e gli altri cercano un vantaggio militare prima che tocchi alla diplomazia. Questa la situazione al momento. Ma i prossimi passaggi restano oscuri ed è difficile prevederne ora l’evoluzione. Gli ucraini hanno un mantra, la “pace giusta”. Ma è un desiderio che ha cambiato spesso faccia: era il ritorno ai confini del 1991 nei primi tempi della guerra, poi è diventato le garanzie di sicurezza da parte dei Paesi occidentali, quindi l’ingresso nella Nato e nei giorni scorsi, dopo aver preso atto che Trump sembra sordo a tale richiesta, la domanda di riavere le armi nucleari cedute alla Russia nel 1991. Anche i russi hanno il loro mantra: la “situazione sul terreno”. Che vorrebbe dire: ci siamo presi la Crimea e siamo ormai a pochi chilometri dal confine occidentale della regione di Donetsk. Qui siamo e qui restiamo. Altrimenti perché dovremmo trattare?
Giustamente, Trump e i suoi ripetono che sia gli uni sia gli altri dovranno fare delle rinunce, se vogliono la pace. Ma di che rinunce si tratti, di che carattere e di quale entità non è dato al momento di sapere. È il carattere del confronto politico, però, a dirci qualcosa. Anche se il clan del presidente ha messo da parte la sgradevole retorica che dipingeva Zelensky come una specie di scroccone, Trump con lui si comporta più da padre-padrone che da alleato. Detta tempi e condizioni, pretende elezioni presidenziali e parlamentari entro l’anno (che è quasi come dare gli otto giorni a Zelensky), chiede con insistenza un “risarcimento” (in terre rare o altro) per gli aiuti offerti dagli Usa, fa ipotesi sul futuro dell’Ucraina. In proporzione, Trump tratta con maggior rispetto l’invasore Putin, che sembra considerare un avversario degno, dicendo peraltro di aver sempre avuto con lui un buon rapporto. Non è un bel segnale per l’Ucraina, che da tre anni, incitata a combattere da tutto l’Occidente, sopporta sacrifici atroci, tuttora studia un piano per mandare al fronte i ragazzi tra i 18 e i 24 anni e in questa fase meriterebbe dal grande fratello americano un supporto più caldo e convinto.
L’altra considerazione, inevitabile e peraltro legata alla precedente, è che Trump sembra impostare il suo progetto di pace in Ucraina senza alcuna considerazione per l’Europa. Mentre Zelensky non si stanca di chiedere una rappresentanza Ue al tavolo dell’eventuale trattativa, il presidente americano fa orecchi da mercante e la Ue la nomina solo per minacciarla con i dazi. La cosa sta benissimo al Cremlino, che da anni manifesta per le istituzioni comunitarie il massimo disprezzo. Anzi: le considera a mero servizio degli interessi Usa e quindi non vede alcuna utilità nell’averci a che fare, potendo parlare con gli Usa.
Ursula von der Leyen e gli altri dirigenti della Ue sembrano essere stati colti di sorpresa dalla velocissima evoluzione. Parlano di riarmo e ipotizzano investimenti nella Difesa, ma è come se fossero rimasti alla pagina precedente del libro. E tutto questo può diventare un grande problema. Da anni sentiamo dire, che “la guerra in Ucraina” è “la guerra in Europa”. Come possiamo accettare, quindi, che il futuro equilibrio di sicurezza “in Europa” venga definito senza di noi, diretti interessati, per di più in una fase delicatissima di trasformazione interna (i commissari alla Difesa e alla Politica estera sono un lituano e una estone) e di confronto esterno (già con la Cina, ora forse anche con gli Usa) che stressano l’Unione come mai prima?

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