Se c'è odore di zolfo riscopriamo l'anima del Servizio civile

Gli scenari di guerra spingono tanti a chiedere di riproporre il servizio militare di leva, servirebbe invece rilanciare lo spirito che invita a essere costruttori di pace
October 28, 2025
Se c'è odore di zolfo riscopriamo l'anima del Servizio civile
Presentazione al Teatro Argentina di Roma dei progetti del Servizio Civile Universale per il Giubileo della Speranza/ FOTOGRAMMA
«In piedi costruttori di pace!». Sono le indimenticabili parole di don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, il 30 aprile 1989 in una strapiena Arena di Verona. Costruire la pace, non solo proclamarla, non solo denunciare gli attacchi contro di essa. Don Tonino, pastore della concretezza, parlava di chi «la pace la costruisce nel silenzio della storia o nell'esilio della geografia. Nei bagni di folla o nella solitudine dei deserti. Nelle foreste dell'Amazzonia o nel vortice disumano delle metropoli. Sul letto di un ospedale o nel nascondimento di un chiostro. Nell'operosità di una scuola materna che si apre ai valori della mondialità o nel travaglio provocato da uno stile di accoglienza nei confronti dei fratelli di colore».  Sembra la fotografia del Servizio civile al quale proprio in quegli anni veniva riconosciuta dalla Corte costituzionale «la pari dignità» rispetto al servizio militare, perché anche assistere i più fragili, gli scartati, gli immigrati, o difendere l’ambiente o il patrimonio culturale, era difendere la Patria, anche se con modalità diverse. Ma il Servizio civile non era sostituzione del welfare pubblico, perché partiva, aveva le sue profonde basi, in quel ripudio della guerra «come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», come scrive all’articolo 11 la nostra bellissima Costituzione, costruita da chi la guerra l’aveva drammaticamente vissuta. Non a caso negli anni in cui nasce il Servizio civile nazionale nasce anche la legge 185 sull’esportazione delle armi, la migliore e più severa norma al mondo su questa delicatissima materia. E ottiene un fondamentale successo la campagna contro le mine antiuomo, che porta l’Italia, allora grande produttore di queste armi vigliacche, a bloccarne la produzione, prima al Mondo. Erano anni nei quali, sono sempre parole di don Tonino, «nell’aria c’è odore di zolfo». Guerre alle porte di casa come quelle nei Balcani. Ma anche anni di grandi movimenti pacifisti. Nascevano da «famiglie» diverse, cattoliche, laiche, radicali, di una sinistra libertaria già post comunista. «Non uccidere è per alcuni un dovere religioso per altri un dovere etico», scriveva allora Alex Langer, tra i padri dell’ambientalismo e del pacifismo italiano, che in sé incarnava queste famiglie. Scelte nette, pagate di persona come i primi obiettori di coscienza che negli anni ’70 finivano in carcere per il rifiuto del servizio militare. Non violenza fino in fondo che poi sempre più trasforma quel «non» in un «per».
Per la pace, per la tolleranza, per gli ultimi, per i più soli, proprio come aveva indicato don Tonino. E non è certo un caso che a scegliere di costruire così la pace siano stati tanti giovani cresciuti e formati in parrocchia, nelle prime organizzazioni ecclesiali. Ad aprire le porte per il loro «Servizio civile» sono state tante Caritas diocesane. Ricordo bene, ad esempio, la straordinaria esperienza della Caritas di Roma e del suo fondatore don Luigi Di Liegro. Quei ragazzi che non solo dicevano «no» alla divisa ma soprattutto «sì» alla pace da costruire nella città, permisero di aprire l’ostello, l’ambulatorio e le mense per immigrati e senza dimora, mondialità in casa nostra, straordinario strumento per promuove concretamente la pace. Li ricordo bene, quando la sera si ritrovavano per pregare e riflettere sulla pace e poi la mattina essere sul campo per costruirla. Spiegava don Giuseppe Pasini, tra i fondatori della Caritas italiana, che gli obiettori al servizio militare «dovevano essere considerati non "manovali" per servizi ai poveri, ma giovani impegnati a rafforzare la propria personalità umana e cristiana, attraverso il servizio, l’interiorizzazione del valore della pace». Fu una stagione davvero entusiasmante, non capita da parte della politica, al punto che il ministero della Difesa il 13 novembre 1986 inviò ispettori e carabinieri in una decina di sedi e centri di assistenza della Caritas per controllare cosa facessero quegli «strani ragazzi». Che si sporcavano le mani in nomi di grandi valori e idealità. Gli stessi che molti hanno poi portato nella loro vita successiva: Servizio civile come scuola di forti scelte. Poi, purtroppo, negli anni, soprattutto con la gestione di parte del Servizio civile da parte dei comuni, la carica ideale si è un po’ annacquata a favore di troppo concrete esigenze. Soprattutto dopo l’abolizione del servizio militare di leva. Ora c’è chi vorrebbe rilanciarlo, mal consigliato dal nuovo «odore di zolfo» che si alza da troppi scenari di guerra. Va, invece, rilanciato lo spirito che più di quaranta anni fa portò migliaia di ragazzi, e porta ancora oggi, a scegliere di essere «costruttori di pace», con la bellezza di un’idealità che si faceva concretezza del fare. «Abbiamo bisogno di testimoni e di attori di pace», ha scritto ieri la Conferenza nazionale Enti per il Servizio civile. Appunto, testimoni e attori.

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