Reims, la città dove finì la Seconda Guerra mondiale
Nel liceo oggi intitolato al presidente americano Roosevelt, il 7 maggio 1945 fu firmato l’Atto di capitolazione senza condizioni di tutte le forze del Reich (ratificato il giorno dopo a Berlino)

Se amate le cattedrali francesi, non sarebbe male visitare quella di Reims all’apertura mattutina, in una limpida giornata estiva. Difficile immaginare un regalo più sorprendente offerto dalla Via Francigena nel suo lungo tratto transalpino. Certo, Notre-Dame di Parigi resta il cuore simbolico della fede d’Oltralpe, come ha mostrato la riapertura in mondovisione di qualche mese fa. D’altro canto, la Cattedrale di Chartres, così ben conservata, riserva immersioni in un’atmosfera senza tempo, come se la sacralità medievale fosse di ritorno. Verissimo. Ma a Reims, alla Messa delle 8 del sabato mattina dietro l’altare, una volta fra i banchi, può succedere qualcosa capace di risvegliare pure gli animi più assopiti. In pochi istanti, i due famosi rosoni della facciata centrale, dedicati all’Assunzione della Vergine e alle sue Litanie, s’infiammano come pozzi di luce senza fondo, inondando tutto di colore: volti dei fedeli, statue, grani di polvere in volo. Persino le virgole della liturgia, si potrebbe pensare. Una metamorfosi cromatica in presa diretta. In termini di fede, a ben guardare, la celebre strada non segue affatto in Francia una rotta “periferica”. Infatti, è a Reims che la Francia divenne ufficialmente cristiana, come ricordò nel 1996 la visita di Giovanni Paolo II, per i 1.500 anni dal Battesimo di Clodoveo. Nella navata centrale, un’iscrizione al suolo ricorda: «Qui, san Remigio battezzò Clodoveo, re dei Franchi». Il gran debutto della futura città delle incoronazioni. «Come a Chartres, la Cattedrale di Reims era segnata in origine dalla galleria dei re e da un labirinto, anche se quello di Reims non c’è più. Pur sfigurata dalla Grande Guerra, resta per me la cattedrale della magnificenza e dell’armonia, non a caso così in sintonia con lo spirito delle incoronazioni», ci dice Christophe Ferré, autore credente pluripremiato che ha molto scritto sulla “famiglia” delle cattedrali francesi, fra bestseller di narrativa e opere saggistiche. Un celebre storico, Marc Bloch (1886-1944), all’origine della tradizione degli Annales, additò invece «quelli che rifiutano di vibrare al ricordo delle incoronazioni a Reims», perché «non comprenderanno mai la storia di Francia».
Così, nella Champagne verdeggiante, il pellegrino giunto dalla Manica può ritrovarsi di colpo a riflettere sulla regalità, realtà grandiosa e sfaccettata, percepita spesso nei secoli come sospesa fra umane vicende e trascendenza. In effetti, la Francigena inizia in quella Canterbury il cui arcivescovo anglicano incorona ancora i regnanti britannici. Poi, appare Reims, simbolo della regalità multisecolare transalpina, di cui oggi solo pochi francesi sembrano nostalgici. Ma il cammino è tutto proiettato verso Roma e la sua maestà rivelata rivolta all’intera umanità. Sul sagrato della Cattedrale di Reims, è affascinante pensare pure che lo stesso luogo resta un simbolo della nostra Europa unita. Nel luglio 1962, una Messa a Notre-Dame di Reims riconciliò le sponde del Reno, la Germania di Konrad Adenauer e la Francia di Charles de Gaulle. Un evento doppiamente del perdono: già nel 1914, per piegare i francesi, i vertici tedeschi bombardarono la stessa Cattedrale, infliggendole un martirio mai dimenticato.
Con simili trascorsi in mente, lo sguardo sulla “provinciale” Reims si ribalta. Nel capoluogo, segnato architettonicamente da un raffinato eclettismo post-bellico di stili, oltre che da illustri resti archeologici romani – su tutti, la colossale Porta di Marte del III secolo, alta 13 metri e lunga 33 –, si comincia a capire che fra una tappa e l’altra della Francigena, si delinea forse la spina dorsale continentale. Del resto, il nostro Dopoguerra cominciò a Reims, nel liceo intitolato oggi al presidente americano Franklin Roosevelt. Davanti all’edificio in mattoncini rossi, sventolano 4 bandiere, di cui l’ultima decisamente inusuale ai nostri giorni: la britannica, la statunitense e la francese, accanto a quella sovietica. Leggiamo: «È qui che il 7 maggio 1945 è stato firmato l’atto che mise fine alla Seconda Guerra mondiale in Europa». Sì, il luogo della capitolazione senza condizioni di tutte le forze del Reich, firmata prima dell’alba, alle 2 e 41, dal generale Gustav Jodl, capo di stato maggiore tedesco, e ratificata l’indomani a Berlino. Poiché Stalin pretese una seconda firma più solenne di capitolazione nella capitale sconfitta, proprio l’8 maggio, giorno rimasto così emblematico della fine delle ostilità.
Con simili trascorsi in mente, lo sguardo sulla “provinciale” Reims si ribalta. Nel capoluogo, segnato architettonicamente da un raffinato eclettismo post-bellico di stili, oltre che da illustri resti archeologici romani – su tutti, la colossale Porta di Marte del III secolo, alta 13 metri e lunga 33 –, si comincia a capire che fra una tappa e l’altra della Francigena, si delinea forse la spina dorsale continentale. Del resto, il nostro Dopoguerra cominciò a Reims, nel liceo intitolato oggi al presidente americano Franklin Roosevelt. Davanti all’edificio in mattoncini rossi, sventolano 4 bandiere, di cui l’ultima decisamente inusuale ai nostri giorni: la britannica, la statunitense e la francese, accanto a quella sovietica. Leggiamo: «È qui che il 7 maggio 1945 è stato firmato l’atto che mise fine alla Seconda Guerra mondiale in Europa». Sì, il luogo della capitolazione senza condizioni di tutte le forze del Reich, firmata prima dell’alba, alle 2 e 41, dal generale Gustav Jodl, capo di stato maggiore tedesco, e ratificata l’indomani a Berlino. Poiché Stalin pretese una seconda firma più solenne di capitolazione nella capitale sconfitta, proprio l’8 maggio, giorno rimasto così emblematico della fine delle ostilità.
«La nostra storia ha molto avvenire», recita il motto del vasto liceo di Reims. Ma pare sintomatico che un simile luogo di pace sia rimasto a lungo misconosciuto, poco valorizzato dagli stessi francesi. Di questa smemoratezza si è accorto un cineasta credente del calibro del tedesco Wim Wenders che ha appena firmato il toccante cortometraggio Le Chiavi della Libertà, proprio nell’istituto di Reims che fu «il centro del mondo pur una notte». Nel video di 4 minuti, patrocinato dal Ministero tedesco degli Affari Esteri, Wenders ricorda che il liceo ospitò la stanza «più segreta» della fine della Seconda Guerra mondiale, quella dell’alto comando alleato guidato dal generale Dwight David Eisenhower, futuro presidente americano: «Dodici anni di terrore, sei anni di guerra, l’Olocausto, i peggiori crimini che il mondo abbia conosciuto finiscono qui, in una scuola di Reims», sottolinea il regista, denunciando l’odierno ritorno della guerra in Ucraina: «Ottant’anni dopo la liberazione del nostro continente, noi europei comprendiamo di nuovo che la pace non è scontata. Spetta a noi prendere le chiavi della libertà», commenta Wenders, nato nel 1945, nelle settimane successive alla capitolazione. Attorno a Reims, lungo la Francigena, le sorprese fioriscono dappertutto. Neppure un centinaio di chilometri prima del ridente capoluogo, un’altra splendida cattedrale ha a suo modo qualcosa di regale. In effetti, marciando di buon mattino fra le vallate verdeggianti del dipartimento dell’Aisne, un tempo popolate di lupi, spunta di colpo nella foschia una sorta di miraggio: come una corona sospesa in cielo. È il punto culminante della collina di Laon, con l’antichissima cattedrale che avrebbe ispirato pure i costruttori di Notre-Dame di Parigi. All’interno, le forme arrotondate del cosiddetto gotico primitivo, permeato ancora un po’ di romanico, accolgono come se si entrasse in un nido. Dopo un’interminabile scala a chiocciola, giungiamo in cima fra le cinque torri disposte a corona, godendo del panorama incantevole sulla cittadina medievale decorata pure con originali ombrelli variopinti. La guida che ci accompagna, Christelle, osserva: «I visitatori dicono sempre di sentirsi a proprio agio, come se queste navate offrissero un sorriso infantile». Già, proprio una cattedrale “bambina”, rispetto ai profili più affilati e quasi severi di quelle segnate da un gotico più avanzato.
A proposito di giovinezza, ci attende in zona un’altra scoperta toccante. Nella geografia ecclesiastica transalpina, la Francigena traversa a lungo in diagonale la Provincia di Reims. E nel vasto insieme di 7 diocesi dalle cattedrali “sorelle” abbaglianti, come quelle di Amiens, Beauvais, Noyon, Senlis e Soissons, i fedeli sono stati chiamati dai loro vescovi a marciare in primavera per le vocazioni seguendo l’esempio di un ragazzo italiano nato a Londra nel 1991 e morto a Monza il 12 ottobre 2006. Sì, proprio Carlo Acutis. Nell’appello dei vescovi diffuso a maggio, si può leggere: «Il beato Carlo Acutis è il nostro compagno di cammino per questo pellegrinaggio per le vocazioni e il nostro intercessore affinché il Signore faccia nascere delle vocazioni nelle 7 diocesi in preghiera. Trascinati dalla sua gioia, vi chiediamo di pregare». Milioni di fedeli francesi sono stati dunque invitati a seguire le orme di un adolescente lombardo in blue jeans. Di che rinfrancarci, ripartendo da Reims dopo aver ammirato il celebre angelo sorridente duecentesco con la mano alzata, nel primo dei portali frontali della stupefacente Cattedrale.
(3 - continua)
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