Presenze perdute, bisogni inascoltati

Più d’uno pensava che ormai “il territorio” fosse solo un pretesto per avanzate formidabili a base di propaganda, il primo passo di una conquista che aveva ben altri palcoscenici cui mirare...
April 8, 2020
Presenze perdute, bisogni inascoltati
Più d’uno pensava che ormai “il territorio” fosse solo un pretesto per avanzate formidabili a base di propaganda, il primo passo di una conquista che aveva ben altri palcoscenici cui mirare. In nome del territorio, un simbolo da catturare e un feticcio da esibire al pubblico, alcuni si erano convinti che fosse possibile fare di tutto. Invece no, si stavano sbagliando – e noi, magari, con loro. Abbiamo scoperto, infatti, in queste settimane di pandemia, che “il territorio” è altro: il silenzio dei malati nelle case abbandonate, l’impotenza dei loro familiari, il coraggio mai inutile eppure spesso vano di tanti medici di famiglia, lo sgomento di infermiere, badanti e assistenti domiciliari rinchiuse spesso in un dolore impotente e attonito. Avevamo capito quasi subito che la partita che si sta combattendo dal 21 febbraio negli ospedali italiani è una partita tra la vita e la morte, la speranza e l’abisso, la risurrezione e la croce. Con il passar dei giorni, è diventato sempre più chiaro che dall’inizio era una sfida casa per casa, strada per strada.

È stato come svegliarsi bruscamente da un incubo: nessuno è sembrato accorgersi, in questi anni, del fatto che tante, troppe, nostre comunità erano rimaste isolate, ben prima che l’isolamento forzato deciso per il diffondersi del Covid-19 diventasse l’unica via per arginare il contagio.

Attraversiamo in questi giorni terre svuotate da figure-chiave per chi deve viverci: pediatri e medici di base hanno frotte di pazienti, magari in paesi diversi, e non riescono a seguirli tutti. Nemmeno a vederli una volta all’anno in tempi normali, figurarsi durante un’emergenza.

Il Centro-Sud è, da questo punto di vista, in una situazione persino più grave rispetto al Nord Italia, eppure questo non è bastato a regioni come la Lombardia per salvarsi. Anzi. Abbiamo dovuto prendere atto, in questi cinquanta giorni, che l’eccellenza sanitaria non è sufficiente, se è limitata a pur eccellenti ospedali e non è distribuita in lungo e in largo. Restano una miriade di zone nel Paese in cui i servizi alle persone si sono rarefatti e la loro qualità si è abbassata, senza che si alzasse la voce per dire che i rischi di un crollo del sistema di welfare pazientemente e saggiamente costruito negli anni della cosiddetta Prima Repubblica fossero imminenti. Di più: ci eravamo dimenticati che ogni Comune, ogni quartiere, persino ogni angolo delle città fa storia a sé e non importa a quale latitudine ci si trovi se mancano posti letto, respiratori, mascherine. L’abc del “prendersi cura” è da insegnare e apprendere daccapo, forse tornando alle origini e certo impostando

una cooperazione virtuosa tra statale e privato sociale dentro un saldo concetto di “pubblico”. Senza persone in grado di riempire di anima e cura un territorio, le nostre comunità hanno sempre più perso punti di riferimento e sperimentano oggi più che mai la fatica a rialzarsi. Il dottore, soprattutto nei piccoli paesi, aveva un valore simbolico paragonabile a quello del parroco e del sindaco, della maestra e del maresciallo dei carabinieri: ascoltava, rassicurava, dispensava consigli e saggezza. Lo fa ancora, ma solo in alcuni casi. È (meglio sarebbe dire, era) una presenza, nelle terre dell’assenza.

Dobbiamo tornare a riempire quei vuoti. È stata la società civile, attraverso le voci del Terzo settore, a ricordarci durante la pandemia che l’assistenza domiciliare non può essere considerata un lusso, che le Rsa e i centri diurni per anziani non vanno trattati come luoghi a perdere, nascosti al mondo e alle Istituzioni, che i disabili, i minori e i più fragili hanno bisogno di risposte. Non adesso, prima.

Su queste colonne lo si è detto per tempo: manca personale sanitario, mancano reparti di terapia intensiva, mancano caregiver e buoni samaritani. Denunce inascoltate, purtroppo.
Presi come eravamo dalla smania di raccontarci un “territorio” a immagine e somiglianza delle esigenze della propaganda e dei modelli socioeconomici considerati vincenti, troppi manovratori delle leve e delle programmazioni avevano perso il contatto con la realtà. Quella vera, quella che si nasconde oltre i citofoni, tra le pareti di casa.

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