Perché vanno tutti a San Patrignano?
La comunità meta della visita di Metsola e Meloni ospita da sempre i big della scena politica nazionale e internazionale. Non solo una passerella: ecco due buone ragioni che lo spiegano

Fosse solo per le 26mila famiglie che ci sono salite, con la vita d’un figlio o d’una figlia distrutta dalla droga, e che se la sono vista nella stragrande maggioranza dei casi restituire, San Patrignano varrebbe una visita. Cosa succede lì? Come riesce il miracolo di curare una dipendenza? Com’è possibile che dei ragazzi perduti decidano liberamente di ritirarsi su una collina per ritrovarsi e ci rimangano? Sono le domande con cui nel corso degli anni sulla strada per Coriano, alle spalle di Rimini, si sono presentati visitatori da ogni parte del mondo: medici, psicologi, educatori, intellettuali, persino registi (dalle stesse domande è nata una discussa serie di Netflix sui metodi della comunità ai tempi di Muccioli che ha sollevato un polverone mediatico). E poi – complice anche lo storico sostegno al progetto da parte della famiglia Moratti – tanti, tanti politici: gli operatori più anziani ricordano ancora con emozione la visita del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon (che si presentò ai cancelli all’alba, unendosi ai ragazzi per la colazione), quella del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, di Sergio Mattarella in occasione dei 40 anni della comunità nel 2018, di molti premier da Silvio Berlusconi a Giuseppe Conte, di decine di ministri e capi di partito, di destra e di sinistra. In occasione del Meeting che s’è appena concluso è stato il turno della presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola e della presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Passerelle, si dirà, ma per una volta il giudizio rischia d’essere riduttivo. Per almeno un paio di ragioni che vale la pena qui ricordare, in un tempo in cui di dipendenza e di tossicodipendenza si parla pochissimo e si soffre sempre di più.
La prima: l’Italia, fanalino di coda d’Europa e del mondo in innumerevoli e svariati ambiti, sul fronte dei percorsi di recupero è un modello d’eccellenza, oltre che un unicum. È al nostro Paese (e tra l’altro all’intuizione e al carisma di tanti uomini e donne di Chiesa) che si deve l’invenzione della “comunità” non come luogo meramente sanitario di cura, ma come dimensione spazio-temporale di presa in carico della persona nella sua interezza, con l’attenzione alle sue abilità cognitive, emotive e relazionali e con il progetto di una sua riabilitazione integrale, di un suo reinserimento sociale e lavorativo. Ed è questo che fanno le centinaia di comunità sparse da Nord a Sud, tra cui San Patrignano spicca per dimensioni e visibilità, in un settore – quello delle politiche sociali – segnato da fragilità strutturali e carenza di fondi. Un primato frutto dell’impegno di decine di competenze, di lunghi e complessi percorsi di formazione per gli operatori, di (difficile a volte) lavoro in rete con i servizi pubblici per rispondere alle continue sfide quotidiane: non solo la circolazione di nuove sostanze e la normalizzazione nei consumi delle “vecchie”, ma anche la piaga dell’alcolismo, della ludopatia, del ritiro sociale, della dipendenza da Internet. Ferite con cui sempre più spesso, e sempre prima, i nostri ragazzi nelle comunità si presentano in cerca di aiuto e di risposte. L’attenzione, dunque, dei “big” non è motivata solo da ragioni di facciata: visibilmente stupita dalle attività e dai laboratori che ha visitato all’interno della struttura, Metsola non a caso proprio di «modello di welfare per l’Europa» ha parlato riferendosi a San Patrignano. Una buona notizia, anche per tutte le altre.
La prima: l’Italia, fanalino di coda d’Europa e del mondo in innumerevoli e svariati ambiti, sul fronte dei percorsi di recupero è un modello d’eccellenza, oltre che un unicum. È al nostro Paese (e tra l’altro all’intuizione e al carisma di tanti uomini e donne di Chiesa) che si deve l’invenzione della “comunità” non come luogo meramente sanitario di cura, ma come dimensione spazio-temporale di presa in carico della persona nella sua interezza, con l’attenzione alle sue abilità cognitive, emotive e relazionali e con il progetto di una sua riabilitazione integrale, di un suo reinserimento sociale e lavorativo. Ed è questo che fanno le centinaia di comunità sparse da Nord a Sud, tra cui San Patrignano spicca per dimensioni e visibilità, in un settore – quello delle politiche sociali – segnato da fragilità strutturali e carenza di fondi. Un primato frutto dell’impegno di decine di competenze, di lunghi e complessi percorsi di formazione per gli operatori, di (difficile a volte) lavoro in rete con i servizi pubblici per rispondere alle continue sfide quotidiane: non solo la circolazione di nuove sostanze e la normalizzazione nei consumi delle “vecchie”, ma anche la piaga dell’alcolismo, della ludopatia, del ritiro sociale, della dipendenza da Internet. Ferite con cui sempre più spesso, e sempre prima, i nostri ragazzi nelle comunità si presentano in cerca di aiuto e di risposte. L’attenzione, dunque, dei “big” non è motivata solo da ragioni di facciata: visibilmente stupita dalle attività e dai laboratori che ha visitato all’interno della struttura, Metsola non a caso proprio di «modello di welfare per l’Europa» ha parlato riferendosi a San Patrignano. Una buona notizia, anche per tutte le altre.
C’è di più, però. C’è anche il segno di un interesse, da parte delle istituzioni, a muoversi lungo una linea di frontiera per troppo tempo disertata: quella del disagio giovanile che nelle dipendenze trova il suo sintomo e il suo grido. Se è vero che i nostri ragazzi «non stanno bene», se è vero che la pandemia ha scavato un abisso nelle fragilità che già segnavano le nuove generazioni, vero è anche che per troppo tempo la politica di droga e dipendenze ha continuato a parlare in modo asettico, disincarnato, relegando la questione allo sterile e ideologico dibattito sulla mera sostanza: ci si è scontrati sulla liberalizzazione, su cosa sia “leggero” e cosa no, si è cavalcato l’allarme cannabis, ora quello fentanyl, giustamente si organizzano forum internazionali e panel di esperti per confrontarsi sul rischio costituito dalla nascita di sempre nuove sostanze sintetiche e sulle rotte di spaccio, ma troppo spesso si sono perse di vista le persone. E la droga è un dramma e un problema che riguarda le persone, innanzitutto: con la loro salute, le loro famiglie fatte di padri e di madri e a volte di figli, le classi a scuola e le compagnie di amici, i progetti per il futuro, il contributo che sono destinate a lasciare nella società e nel futuro del Paese. La politica a San Patrignano allora, tra i ragazzi che provano a rimettersi in piedi, è anche il segnale di uno sguardo e di un desiderio di confronto che non andrebbe liquidato a mera strategia elettorale, specie in vista dell’attesa, cruciale Conferenza nazionale sulle droghe convocata dal governo per novembre. Alle persone – quelle che vivono il recupero e quelle che lo rendono possibile nelle comunità – è tempo di guardare per superare le divisioni (quelle, sì, solo politiche) e ripensare insieme una legislazione sulle dipendenze adatta ai tempi in cui viviamo, oltre che a investimenti massicci nelle politiche sociali con l’obiettivo di prevenirle e di affrontarle prima che i giovani ne siano inghiottiti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA





