Perché l'umanesimo è stato tradito a Gaza
di Redazione
Quanto lasciamo accadere in Palestina è la pietra di scandalo delle conquiste giuridiche, politiche, sociali e morali dell’Occidente, in particolare dell’Europa

Credo fermamente sia possibile condannare i crimini del governo Netanyahu senza prestare il fianco a ripetizioni retoriche ormai stantie, utili soltanto ad alimentare dialettiche mediatiche. È possibile, vale a dire, denunciare il massacro e la deportazione del popolo palestinese senza sostenere il terrorismo, senza dimenticare il dramma accaduto il 7 ottobre e senza essere accusati di antisemitismo. A chi condanna fermamente e con coscienza i crimini contro l’umanità questo è del tutto chiaro. Quanto lasciamo accadere in Palestina, tuttavia, è la pietra di scandalo delle conquiste giuridiche, politiche, sociali e morali dell’Occidente, in particolare dell’Europa.
A quanto pare l’umanesimo, nelle sue infinite formulazioni, rimane un gioco accademico e intellettuale, un’esibizione di pensiero che non ha la forza di condannare apertamente la politica espansionistica e di terrore che il governo “democratico” di Israele sta perpetrando. Gli ostaggi vanno riportati a casa, senza dubbio: quelli ancora vivi alle loro famiglie e ai loro affetti e quelli che non ci sono più alle loro sepolture e al cospetto del dolore dei loro cari. Vi è però il timore, suffragato dai fatti, che per Netanyahu gli ostaggi non siano, o non siano più un interesse primario.
Da condannare apertamente vi è il massacro di civili, l’annientamento del futuro del popolo palestinese attuato attraverso l’indiscriminato assassinio di bambine, bambini, di donne, di giovani e di famiglie e dei luoghi della loro possibilità di crescita e di formazione (ospedali, scuole, luoghi di culto, luoghi di gioco, filiere di produzione). Da condannare vi è il sistematico impedimento di fare arrivare al popolo palestinese cibo e acqua, in modo da poterlo “risolvere” dentro o fuori il suo territorio, quanto prima possibile. Da condannare, vale a dire, vi è la completa violazione della dignità della persona, perno fondamentale della dottrina sociale della Chiesa; la Chiesa, d’altro canto, prima con papa Francesco e ora con papa Leone XIV ha preso una doverosa, chiara e netta posizione contro la guerra disumanizzante di Israele, ma soprattutto contro la “dissacrazione” della vita umana che è in atto ai danni dei palestinesi. Una posizione di certo molto più decisa di molti governi europei, per non parlare dell’assoluta tiepidezza degli Stati Uniti. La storia va conosciuta e non è questo il luogo di esporla, ma forse, ad un decisionismo unicamente presentista e totalmente frammentato, andrebbe sostituita una coscienza storico-critica, imprescindibile per una seria azione politica, in grado, per dirla con Vico, di frenare la “boria delle nazioni”.
E noi accademici? Noi che con i nostri libri affrontiamo l’umano in tutte le sue forme? Noi che teorizziamo valori, solidarietà, inclusione, rispetto per la vita, fondamenti della politica, ecc. Noi, “dove siamo”? Certo, l’università non è il luogo della denuncia (o non lo è più); non è nemmeno più forse il luogo della Bildung, di quella formazione profonda e trasformante capace di agire alla radice dell’essenza dell’uomo. Nutro ancora, tuttavia, la speranza che essa sia il luogo in cui la discussione sulla dignità della vita umana e sulla sua realizzazione storica e transtorica, soggettiva e intersoggettiva, costituisca ancora il cuore dello spirito di questa istituzione.
Spero, vale a dire, che di fronte all’orrore a cui stiamo assistendo, a quella violazione delle persone che noi stessi siamo, gli Atenei nazionali e internazionali, statali e privati, cattolici e non cattolici, possano costruire un documento che esprima una chiara presa di posizione contro la deportazione e lo sterminio di Gaza, facendo valere l’assoluto valore di trascendenza della vita umana. Un documento non ferma un massacro, lo sappiamo; tuttavia dice di chi non approva e di chi si oppone; dice di una condanna nei confronti dei crimini contro l’umanità. Un documento, inoltre, lascia traccia, una traccia che testimoni come l’Università di oggi, lucidamente, spera ancora di essere il luogo deputato alla “fioritura” dell’umano, delle relazioni intersoggettive, della società e della politica. Si tratta, come non mai forse, di evitare l’impasse esplicitato da Sartre nella sua Prefazione ai Dannati della terra di Fanon: «Reclamare e rinnegare, simultaneamente, la condizione umana: la contraddizione è esplosiva».
Direttore del dipartimento di Filosofia dell’Università Cattolica di Milano
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