Perché Leone XIV sui migranti ci invita a ribaltare la prospettiva

Allargare lo sguardo delle comunità, guardare a chi arriva nei nostri Paesi come a una risorsa, partendo dalla fede spesso in comune che abbiamo: il messaggio di Prevost è un invito alle coscienze
July 25, 2025
Perché Leone XIV sui migranti ci invita a ribaltare la prospettiva
Ansa |
I migranti sono una benedizione divina in un mondo in cui sono necessarie la condivisione e la cooperazione contro ogni forma di chiusura e di nazionalismo. E le nazioni devono accoglierli come messaggeri di speranza. La forza del discorso di papa Leone XIV, diramato per la 111° Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 4 e 5 ottobre, è quella di ribaltare in modo spiazzante la nostra prospettiva prendendo come esempio la speranza fortissima che anima il cammino dei migranti e che deve animare il Giubileo.
Papa Francesco non a caso aveva fatto coincidere Giubileo dei migranti e dei missionari – non la giornata – coniugando i temi della speranza, della migrazione e della missione. Da qui parte il discorso di grande continuità di Papa Leone, mettendo in evidenza anzitutto le cause immutate della migrazione in un contesto globale segnato da guerre, violenze, ingiustizie e cambiamenti climatici che causano la mobilità forzata di milioni di esseri umani, con cifre in aumento costante da 10 anni e che registrano picchi da record dal 1945. Il primo Papa nordamericano stigmatizza la tendenza generalizzata a curare esclusivamente gli interessi di comunità circoscritte perché questo «costituisce una seria minaccia alla condivisione di responsabilità, alla cooperazione multilaterale, alla realizzazione del bene comune e alla solidarietà globale a vantaggio di tutta la famiglia umana». Chiusure pericolose, come la rinnovata corsa agli armamenti – tema caro ai predecessori – e di fronte alle teorie di «devastazione globale e scenari spaventosi» il rimedio è far crescere il desiderio di pace nel cuore dei più.
Secondo papa Leone molti migranti, rifugiati e sfollati sono testimoni privilegiati della speranza attraverso il loro quotidiano affidarsi a Dio. Lo abbiamo visto molte volte nelle pagine ingiallite e sgualcite dei testi religiosi ritrovati in fondo al Mediterraneo come unico lascito dei tanti naufragi. Bibbie dove annotazioni e preghiere struggenti davanti alla prospettiva di morire una fede autentica in Dio diventano messaggi dall’eternità e migranti e rifugiati diventano messaggeri di speranza per la loro tenacia in cui cogliere la testimonianza “eroica” di una fede spesso così forte da donare loro la forza di sfidare la morte nelle diverse rotte migratorie contemporanee.
Non parla d’invasione, il discorso del Papa, anzi. Ma sottolinea la forza dell’accoglienza e richiama la Chiesa a restare aperta, a mantenere la dimensione “pellegrina ed errante”, mettendo in guardia le comunità cristiane dalla tentazione di sedentarizzazione che porta a smettere di essere nel mondo e diventare del mondo. Tentazione non nuova e presente nelle prime comunità cristiane che venivano richiamate da san Paolo. A migranti e rifugiati cattolici Papa Leone affida il compito di diventare missionari di speranza nei paesi che li accolgono portando nuovi percorsi di fede dove il messaggio di Cristo non è ancora arrivato, avviando dialoghi interreligiosi fatti di quotidianità e di ricerca di valori comuni. Ma chiede ai migranti credenti – ed è un discorso che si adatta perfettamente alle comunità occidentali, Italia compresa – «di contribuire a rivitalizzare comunità ecclesiali irrigidite e appesantite in cui avanza minacciosamente il deserto spirituale». C’è qui un importante richiamo a San Paolo VI che parlava nella Evangelii nuntiandi della missione realizzata dai migranti e un sostegno continuo frutto di un’efficace cooperazione interecclesiale che in Europa si è realizzata soprattutto tra Italia Germania, Svizzera e Francia iniziate negli anni 60 e 70 quando i migranti eravamo noi e siamo tornati ad esserlo. Migranti come opportunità da accogliere, migranti come risorsa, appunto. Di più, la loro presenza viene definita nel messaggio come una “benedizione divina”, appunto, un’occasione per aprirsi alla grazia che dona nuova energia e speranza alla Chiesa. E poi le meravigliose parole della lettera di San Paolo agli ebrei: «Non dimenticate l’ospitalità: alcuni praticandola senza saperlo hanno accolto degli angeli». Un discorso forte e incoraggiante dove la speranza che li supporta va presa ad esempio perché diventa promessa di un presente e di un futuro in cui sia riconosciuta la dignità di tutti.

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