Perché la Cop30 è una partita tutta da giocare
Le aspettative non sono positive. Ma il “costo dell’inazione” è nettamente superiore a quello della transizione, e non possiamo osservare da casa: bisogna scendere in campo

Ma serve ancora la Conferenza delle parti sul clima (Cop)? Ma con le politiche di Trump la lotta al cambiamento climatico ha ancora un futuro? Ma lei è ottimista o pessimista sull’esito della Cop30? Domande di questo tipo mi sono state rivolte in questi giorni, come se si trattasse di predire la vittoria di Sinner alle Atp Finals di Torino. Certo, sappiamo che le aspettative sulla Cop30 non sono molto positive, ma la buona notizia è che, con buona pace di Trump, la transizione energetica è in corso in gran parte del mondo e non dipende dalle conclusioni della prossima Cop, ma dai vantaggi economici che essa consente. La cattiva notizia è che il processo di trasformazione delle nostre economie e delle società è troppo lento e parziale per ridurre in maniera significativa i rischi catastrofici ai quali siamo (e saremo sempre più) esposti. Quindi la Cop30 è importante per accelerare il cambiamento.
Ma perché siamo così lenti? In breve, quello che non vogliamo capire è che i sistemi naturali non aspettano i comodi degli esseri umani e che i nostri comportamenti hanno già portato al superamento di sette limiti planetari su nove. Di conseguenza, il cambiamento climatico sta accelerando e accelererà man mano che la temperatura aumenterà, producendo danni crescenti in tutto il mondo. Eppure, a fronte di questa evidenza scientifica c’è chi, anche in Italia, ripete che conviene aspettare, allentare le politiche, rallentare i processi trasformativi in nome di un non meglio specificato, e tantomeno dimostrato scientificamente, “insopportabile costo” della transizione.
Benché i dati disponibili indichino chiaramente che il “costo dell’inazione” è nettamente superiore a quello della transizione, il disappunto per posizioni di questo tipo diventa rabbia quando, tra i motivi per non procedere, vengono citati i possibili costi che ciò comporterebbe per i più poveri, come se non fossero loro a pagare già oggi il prezzo più alto del degrado ambientale: si pensi alle 300.000 morti premature all’anno che abbiamo in Europa per malattie legate all’inquinamento, la stragrande maggioranza delle quali sono di persone che appartengono alle classi meno abbienti, più colpite anche dalle catastrofi climatiche. Ovviamente, abbiamo bisogno di politiche per una “giusta transizione”, ma senza transizione ci sarà ancora meno giustizia sociale.
I venti contrari alla transizione si sono intensificati nell’ultimo anno e spireranno forti anche alla Cop30. Pensiamo ai continui attacchi alle politiche dell’Unione Europea per il taglio delle emissioni in nome di un’inesistente contrapposizione tra pragmatismo dei governi e ideologie green dell’Unione. In realtà, le scelte dell’Amministrazione Trump in materia rendono evidente cosa voglia dire davvero adottare un approccio ideologico, tant’è vero che il mercato delle rinnovabili si sta sviluppando anche contro le decisioni del Presidente, perché la convenienza per imprese e consumatori della scelta per la “sostenibilità” è sempre più robusta.
O pensiamo al fatto che gli Usa hanno inserito nell’accordo sui dazi la richiesta di esentare le imprese americane dagli obblighi europei di rendicontazione sulla sostenibilità ambientale e sul rispetto dei diritti umani, quegli obblighi che ora vengono drasticamente allentati in nome della semplificazione, andando ben al di là di quanto opportuno, come ha fatto notare anche la Bce. Peraltro, la riduzione dei costi amministrativi per le imprese del “pacchetto” in discussione sarà pari solo allo 0,4%. E questo accade proprio mentre la Cina ha deciso di applicare regole severe alle sue imprese, copiate da quelle europee. Insomma, la Cop30 non è una partita da osservare stando a casa, ma una partita da giocare. E quindi, le domande giuste da porre a chi di dovere riguardano lo schema di gioco dell’Unione Europea e dell’Italia. Giocheranno all’attacco per vincere (cioè, far vincere tutti noi) o faranno catenaccio per non prendere gol (come si dice, per difendere gli interessi nazionali)? Si tratta di una partita complessa anche sul piano geopolitico e non a caso la Cina punta ad occupare il ruolo di campionessa della lotta al cambiamento climatico, facendosi paladina anche degli interessi dei Paesi in via di sviluppo.
L’accordo europeo raggiunto in extremis, anche grazie all’Italia che ha votato si al taglio del 90% delle emissioni entro il 2040 in cambio di alcune flessibilità, non consentirà a Von der Leyen (uno dei pochi leader presenti alla Cop) di rafforzare la leadership che ha potuto vantare negli ultimi anni. Quanto all’Italia, ricordo che l’art. 9 della Costituzione italiana riformato nel 2022 con il voto favorevole di tutto il Parlamento dice che «La Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni». E poiché, giustamente, non mi sembra che faccia riferimento al territorio italiano, anche al nostro Governo spetterebbe di giocare all’attacco e cercare di vincere una partita dal cui esito dipende il futuro di tutti noi, anche di chi, pur richiamandosi alla Costituzione italiana, gioca con l’altra squadra.
Direttore scientifico dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS)
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