Opporsi o trattare? Quel dilemma di fronte ai dazi di Washington
L’altalena delle tariffe annunciate, smentite e poi ancora minacciate dalla Casa Bianca mette l’Europa davanti a una scelta difficile: come reagire davanti alle imprevedibili mosse ostili dell'all

Sono diversi gli economisti che raccomandano cautela di fronte all’ultima minaccia di Trump sui dazi al 30 % per le esportazioni europee: rispondere con il criterio della reciprocità colpendo le Big Tech e il mercato dei servizi statunitensi presenta diversi rischi.
Il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ha invitato l’Eurozona ad accelerare sugli eurobond e a rafforzare l’autonomia strategica anche del sistema finanziario, perché risulti alternativo e competitivo sul piano globale.
Il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ha invitato l’Eurozona ad accelerare sugli eurobond e a rafforzare l’autonomia strategica anche del sistema finanziario, perché risulti alternativo e competitivo sul piano globale.
Ma prima che si realizzi la prospettiva di sbocchi del mercato e strumenti finanziari alternativi, l’Europa può guardare solo a progetti di medio-lungo periodo. Certamente la soluzione più realistica e concreta rimane ancora quella di negoziare, però occorre calibrarla affinché non si traduca in una passiva remissione, con conseguenze non meno gravi. Le intese richiederanno perciò negoziatori autorevoli e capaci anche di presentarsi davanti allo stesso Congresso americano, dove tra la maggioranza repubblicana matura più di qualche ripensamento sulle politiche trumpiane.
Non va sottovalutato che la Court of International Trade, l’organismo della giurisdizione federale degli Stati Uniti competente in materia di commercio internazionale, ha dichiarato illegittimi i dazi già disposti nei confronti di alcuni Paesi come Canada, Cina e Messico: il presidente Usa avrebbe ecceduto nei suoi poteri perché la politica commerciale richiede un vaglio del Congresso, organismo rappresentativo di interessi generali. Per diversi analisti potrebbero arrivare presto reazioni negative, la recessione e l’inflazione sugli stessi mercati statunitensi, per cui Trump e i suoi sostenitori potrebbero anche rivedere il loro rudimentale protezionismo.
Rimane tuttavia il problema di fondo più critico, che un’Europa consapevole deve affrontare sul tavolo dei negoziati Usa-Unione Europea. Va chiarito una volta per tutte cosa intende fare Trump dello storico rapporto di fiducia euroatlantico costruito sul Rule of Law: ciascuno deve posizionarsi rispetto ai disegni neo-imperiali della Russia e della Cina, non trascurando anche la prospettiva del Global South. L’idea di alleanza che l’Europa intende ancora sostenere con gli Usa, tuttavia, non può certo accettare che il suo partner principale la minacci con la coercizione economica: se c’è un problema se ne discute, altrimenti vuol dire che gli Usa vogliono ragionare anche con l’Europa in termini imperiali e di neo-colonialismo commerciale.
Sono aspetti che vanno approfonditi prima di tutto fra gli stessi leader europei, non dimenticando i profili di diritto internazionale. La guerra commerciale rappresenta una grave violazione delle regole nei rapporti fra Stati: si parla appunto di «coercizione economica» se l’imposizione unilaterale di dazi è priva di giustificati motivi vagliati nelle sedi deputate per il confronto diplomatico. Proprio tra Usa e Ue il 30 maggio 2023 è stata sottoscritta una Dichiarazione congiunta sul tema della coercizione economica in funzione anti-cinese, da cui è poi seguito nel novembre ‘23 il regolamento Ue 2675, il cosiddetto Anti Coercion Instrument.
Più in generale, vanno considerati i principi fondamentali posti alla base delle relazioni economiche tra Stati: il divieto consuetudinario di ingerenza, la libertà degli scambi e la cooperazione. La Carta dell’Onu nel preambolo delinea l’obiettivo comune di «promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli» e all’art. 1 richiede «la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale culturale o umanitario». Beninteso, non esiste un divieto assoluto per il ricorso ai dazi, ma specie con l’istituzione nel 1995 della Wto, l’Organizzazione mondiale per il commercio – di cui gli Stati Uniti furono i principali promotori – sono vincolati a una specifica regolamentazione. La disciplina si regge ancora sulla clausola della “nazione più favorita”, punta al tendenziale livellamento verso il basso delle imposizioni doganali e mira a evitare manovre speculative e aggressive, garantendo così anche il multilateralismo nelle relazioni internazionali. Sono certamente ammesse misure correttive se per uno Stato ricorra un grave pregiudizio per le produzioni nazionali e la bilancia dei pagamenti, ma devono armonizzarsi in un quadro comune di interessi da tutelare.
Le rivendicazioni degli Stati Uniti rispetto al surplus delle esportazioni europee sono fondate per quanto riguarda i beni, ma non i servizi: tecnologia e finanza statunitensi sopravanzano nettamente nelle esportazioni in Europa. Per il resto, il deficit della bilancia commerciale degli Usa è strutturalmente indotto dalla stessa forza della sua economia che incentiva la domanda e dallo squilibrato potere di attrazione del dollaro. Senza contare i benefici che la sua economia e i suoi consumatori possono trarre dalla importazione di merci a costi più bassi di quelli autoprodotti. Rimane in ogni caso che anche la sola politica delle minacce, degli avvisi dell’ultima ora e delle ritrattazioni non fa che alimentare l’imprevedibilità e l’incertezza: sono fattori che rappresentano i più gravi rischi per la volatilità e l’instabilità dei mercati. Per l’Europa occorre puntare ancora sul dialogo con gli Usa, tuttavia su un piano paritario, puntando sulla forza del suo spazio economico di successo: non a caso si è sviluppato con alla base le regole della cooperazione e del diritto internazionale.
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