Onda d'odio da fermare

L’attentato del Quebec è la testimonianza del clima d’odio e radicalismo che sta avvelenando la nostra, unica e comune, civiltà umana. Uccidere fedeli in preghiera
January 30, 2017
Onda d'odio da fermare
L’attentato del Quebec è la testimonianza del clima d’odio e radicalismo che sta avvelenando la nostra, unica e comune, civiltà umana. Uccidere fedeli in preghiera, a qualunque religione appartengano, chiunque abbia perpetrato un simile scempio, è un gesto particolarmente vigliacco, perché mira a uccidere, insieme alle vittime innocenti, la pietas che da sempre e ovunque circonda il momento in cui gli esseri umani cercano il contatto con Dio, comunque lo chiamino, il momento in cui cercano conforto in Colui che è forza rispetto alla propria debolezza. È un veleno sottile e poderoso quello che si insinua nei cuori di pochi, per fortuna, ma che ha effetti devastanti su tanti, su troppi: su tutti quelli che rappresentano le vittime collaterali di ogni strage.
L’odio che questi attentati seminano ricorda il fallout di un’esplosione nucleare: semina morte nel tempo, con molta maggior virulenza rispetto all’istante esatto in cui si produce l’esplosione. Si parla sempre più spesso di "bombe sporche" e di ordigni chimici capaci di diffondere elementi patogeni nell’aria come della prossima frontiera del terrore.
E giustamente gli apparati di sicurezza lavorano alacremente per scongiurare una simile eventualità. In realtà, ogni attentato è in sé una "bomba sporca", capace di produrre una scia di odio che lentamente avvelena i cuori di tutti – i "nostri", i "loro", se queste espressioni avessero un senso – che rilascia intolleranza, paura, angoscia, che illude di poter costruire muri dietro i quali ricercare un’effimera sicurezza che si vorrebbe assoluta. E così invece ci perdiamo, allontaniamo sempre più la speranza di una salvezza che può essere solo collettiva, come sempre più anche la sicurezza o è per tutti e di tutti o è di nessuno.

I muri sono l’equivalente contemporaneo della biblica Torre di Babele, certificano del nostro smarrimento e della nostra incapacità di comunicare gli uni agli altri di "con-fidare" gli uni negli altri. E quando i muri fisici non bastano, ecco allora comparire i muri pret-à-porter, lo stigma dell’esclusione: gli indesiderabili, gli intoccabili, quelli che non possono saltare nessun muro, perché il muro glielo abbiamo cucito addosso. Giova ripeterlo: da questo, in particolare noi europei, dovremmo guardarci con assoluta fermezza, considerando che nello scorso secolo una stella gialla addosso a qualcuno l’abbiamo cucita, con i risultati che abbiamo ricordato appena qualche giorno fa.

Le indagini ci diranno chi ha realizzato e chi ha organizzato la strage della moschea canadese. Ma se è stato un «attacco contro l’islam», come ha detto il premier Trudeau, e come sembrano indicare le prime risultanze dell’inchiesta, si tratta di un «crimine dell’odio» spinto da quella cultura dell’intolleranza che alimenta le nostre angosce ed è accresciuta dalle nostre paure e dalla nostra impotenza. In un simile scenario, niente serve più della capacità di spezzare la spirale della paura e della chiusura reciproca, ciò che ci porta anche a liquidare l’episodio come qualcosa che fanno "quelli", gli "altri".
Oggi dobbiamo far sentire la nostra solidarietà ai musulmani, colpiti direttamente in moschea in un Paese che tutela la libertà di religione tra i primi diritti di ogni cittadino, e prestare loro la nostra consolazione. A chi ha responsabilità politiche è giusto chiedere, anche e soprattutto in questo momento, che concorra a far calare il clima di tensione e di sospetto reciproco tra le comunità, piuttosto che esasperarlo, come sta facendo qualcuno, con messaggi e provvedimenti tanto semplicistici quanto inefficaci, prima ancora che odiosi.
È la sfida più grande: non perché le misure di contrasto e prevenzione alla radicalizzazione e alla violenza siano meno importanti o urgenti; ma perché è la più difficile da vincere, perché deve essere combattuta dentro di noi, nei nostri cuori.

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