Nessun nemico, solo fratelli
di Bruno Forte
Nella "Dilexi te", insistendo sul primato dell’amore in ogni dimensione dell’essere e dell’agire ecclesiale, papa Leone va dritto al cuore del messaggio cristiano

Il 4 ottobre scorso Papa Leone XIV ha firmato la sua prima Esortazione Apostolica, intitolata Dilexi te (Ti ho amato), parola rivolta dal Dio vivo a ogni creatura umana e specialmente a ogni povero. Il testo ha come motivo ispiratore l’attenzione privilegiata ai poveri e insiste sull’impegno doveroso perché sia loro riconosciuta la dignità di potersi realizzare in maniera libera e operosa secondo il progetto del Signore. Citando papa Francesco, di cui peraltro riprende un progetto in cantiere, papa Leone afferma: «Nel cuore di Dio c’è un posto preferenziale per i poveri […]. Tutto il cammino della nostra redenzione è segnato dai poveri» (cf. Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, 197). È per questo che «la Chiesa, se vuole essere di Cristo, dev’essere… Chiesa che fa spazio ai piccoli e cammina povera con i poveri, luogo in cui i poveri hanno un posto privilegiato» (Dilexi te, n. 21). Dev’essere, cioè, «una Chiesa che non mette limiti all’amore, che non conosce nemici da combattere, ma solo uomini e donne da amare, la Chiesa di cui oggi il mondo ha bisogno» (n. 120). Con questa insistenza sul primato dell’amore in ogni dimensione dell’essere e dell’agire ecclesiale, papa Leone va dritto al cuore del messaggio cristiano, proponendo un ritorno al centro, da cui tutto si irradia e nella cui luce tutto trova il suo significato vero e profondo nell’esistenza redenta.
La continuità con Papa Francesco è esplicitamente dichiarata: «Tre giorni dopo la sua elezione, il mio Predecessore espresse ai rappresentanti dei media il desiderio che la cura e l’attenzione per i poveri fossero più chiaramente presenti nella Chiesa: «Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!» (n. 35). A questa urgenza Leone XIV aggiunge la ricchezza e varietà di stimoli che gli vengono dall’esperienza missionaria vissuta fra i poveri del Perù e la conoscenza delle situazioni di povertà nel “villaggio globale”, acquisita nel suo servizio alla Chiesa universale quale prefetto del Dicastero dei Vescovi: i poveri non sono per lui una categoria astratta (cf. n. 90), ma rappresentano volti e situazioni concrete in contesti spesso complessi e contraddittori. Solo guardando alla realtà della loro condizione si potrà riconoscere in essi la “carne di Gesù”, imparando ad amarla in loro per fare della miseria degli ultimi la cartina da tornasole su cui verificare i valori e le mete cui tendiamo da discepoli del Signore. Come afferma il Documento di Aparecida (29 giugno 2007, n. 398), esplicitamente citato al n. 100 dell’Esortazione, «solo la vicinanza che ci rende amici ci permette di apprezzare profondamente i valori dei poveri di oggi, i loro legittimi desideri e il loro modo di vivere la fede [...] Alla luce del Vangelo ne riconosciamo l’immensa dignità e il valore sacro agli occhi di Cristo, povero come loro ed escluso tra loro». In questa luce si pone lo stimolo che il Papa intende offrire alla Chiesa e alla famiglia umana a prestare attenzione ai poveri e ad impegnarsi perché si creino condizioni di vita degne per loro: «Quelli fra noi che non hanno avuto esperienze simili, di vita vissuta al limite, certamente hanno molto da ricevere da quella fonte di saggezza che è l’esperienza dei poveri. Solo mettendo in relazione le nostre lamentele con le loro sofferenze e privazioni è possibile ricevere un rimprovero che ci invita a semplificare la nostra vita» (n. 102). La falsa immagine della persona riuscita, identificata con chi si conforma ai modelli della società dei consumi, deve cedere il posto alla verità di chi si mette in gioco per gli altri e non esita a sacrificarsi pagando di persona. La maschera soddisfatta di chi si è fatto da sé arricchendosi (“self made man”), deve impallidire davanti al coraggio umile di chi impara a conoscere i poveri e li ama donandosi per loro, sentendo come offesa a loro ogni ostentazione di ricchezza o di potere. Non si tratta di sembrare poveri, ma di esserlo nelle scelte profonde del cuore per dare il primato al vero tesoro, la carità ricevuta da Dio e vissuta per gli altri. Né si tratta di inseguire sogni ideologici che lasciano le cose come stanno o peggio le appesantiscono con la violenza tipica di chi vuol cambiare il mondo per conformarlo alla propria testa. Alla povertà si deve rispondere con i fatti: bisogna rilanciare la passione per il bene comune, animata dalla volontà di promuovere la persona umana in tutta la sua dignità, in ogni situazione in cui venga calpestata.
Il Vescovo di Roma insiste poi sul fatto che il servizio ai poveri muove dalla gratuità: quello che abbiamo ricevuto gratuitamente, gratuitamente dobbiamo donarlo. Anche le opere della Chiesa vanno vissute «con cuore di povertà… perché la Chiesa nasce da questa gratuità ricevuta e annunziata». Una Chiesa che diventi ricca o che perda la gratuità è una Chiesa che invecchia e, alla fine, muore: essa è credibile solo se è povera e al servizio dei poveri, come dimostra l’intera tradizione della fede pensata. Così per Sant’Agostino «il povero non è solo una persona da aiutare, ma la presenza sacramentale del Signore» (n. 44). Afferma il Papa: «La teologia patristica era pratica, puntando a una Chiesa povera e per i poveri, ricordando che il Vangelo è annunciato correttamente solo quando spinge a toccare la carne degli ultimi e avvertendo che il rigore dottrinale senza misericordia è un discorso vuoto» (n. 48). L’Esortazione si condensa così nel suo messaggio centrale: «È innegabile che il primato di Dio nell’insegnamento di Gesù si accompagna all’altro punto fermo che non si può amare Dio senza estendere il proprio amore ai poveri. L’amore per il prossimo rappresenta la prova tangibile dell’autenticità dell’amore per Dio» (n. 26). La concretezza dell’impegno che ne consegue risulta più che mai esigente: «L’educazione dei poveri, per la fede cristiana, non è un favore, ma un dovere. I piccoli hanno diritto alla conoscenza, come requisito fondamentale per il riconoscimento della dignità umana» (n. 72). Come afferma il teologo Gustavo Gutiérrez, figlio di quel Perù che papa Leone ha tanto amato, «essere discepoli di Gesù vuol dire far nostra la sua prassi messianica, il suo messaggio di vita, il suo amore per i poveri, la sua denuncia dell’ingiustizia, il suo condividere il pane, la sua speranza nella risurrezione… La prassi messianica è annuncio del regno di Dio nella trasformazione delle condizioni storiche dei poveri, è parola di vita sostenuta dal suo gesto liberatore» (La forza storica dei poveri, Queriniana, Brescia 1981, 114). Una vocazione, un compito, una sfida, cui i discepoli del Signore Gesù non potranno e soprattutto non dovranno sottarsi. Anche così risulta profondamente vero quanto il Papa afferma con decisione e chiarezza: «Sono proprio i poveri a evangelizzarci. In che modo? Nel silenzio della loro condizione, essi ci pongono di fronte alla nostra debolezza… e ci fanno riflettere sull’inconsistenza di quell’orgoglio aggressivo con cui spesso affrontiamo le difficoltà della vita. In sostanza, essi rivelano la nostra precarietà e la vacuità di una vita apparentemente protetta e sicura» (n. 109).
Arcivescovo di Chieti-Vasto
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